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Gli Usa di Joe Biden hanno rimesso al centro l'Europa. Matteo Salvini ora smetta di andare in Russia

Fabrizio Cicchitto
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Con il cambio della presidenza negli Usa e il passaggio da Trump a Biden si è chiusa una fase nella politica estera a livello mondiale e se n’è aperta una del tutto nuova anche con forti conseguenze sull’Italia. Di fatto, essendo Putin un genio (a nostro avviso del male) in termini di geopolitica e avendo per primo capito nel mondo l’importanza dell’uso politico di internet, alle elezioni americane del 2016 egli ha fatto concentrare il fuoco dei suoi hacker contro la Clinton e ciò ha favorito indubbiamente Trump, indipendentemente dall’esistenza di intese dirette fra i due. Quell’investimento russo si è rivelato molto produttivo. L’isolazionismo di Trump si è tradotto in un ridimensionamento della Nato, in un attacco all’Europa con particolare riferimento alla Germania, nell’abbandono dei curdi in Siria e nell’inizio dell’abbandono dell’Afghanistan, nella sostanziale assenza dell’azione politica delle ambasciate americane nel mondo. È così avvenuto che molte forze politiche si sono ritrovate in una sorta di libera uscita prive di qualunque condizionamento e di qualunque cornice dotata di spessore. Ciò è avvenuto in modo molto marcato in Italia, anche indipendentemente da questi orientamenti o disorientamenti americani. 

 

 

In Italia fin dal 2013 i grillini erano in libera uscita in politica estera, come su tante altre cose (decrescita felice, rifiuto delle infrastrutture, ridimensionamento dell’industria, destrutturazione del parlamento, rifiuto della meritocrazia). Così nella legislatura 2013-2018 il Movimento 5 stelle ha presentato una mozione per l’uscita dell’Italia dalla Nato, i suoi esponenti erano affascinati da Russia Unita (il partito di Putin) e iniziava il flirt con la Cina. Questo flirt aveva un salto di qualità arrivando quasi al matrimonio nella prima fase dell’attuale legislatura, nella quale, insieme a qualche provvidenziale avvicinamento all’Unione Europea (vedi il voto favorevole alla Von der Leyen), il sottosegretario Geraci conduceva per mano il governo ad aderire, unico paese del G7, alla nuova via della Seta. Nel corso di tutti questi anni anche Salvini non si è fatto mancare nulla in fatto di politica estera: non solo ha pronunciato mille no alle sanzioni alla Russia per l’Ucraina e l’occupazione militare del Donbass, ma anche no all’euro, rapporti molto stretti con la Le Pen e recentemente un bel viaggio per incontrare Orban ed esponenti polacchi come Morawiecki, oltre ad un bel programma da San Pietroburgo («mi sento più a mio agio qui che non in tante capitali europee»). Nel frattempo, però molte cose non cambiate. È esplosa la pandemia e noi dipendiamo dall’Europa che, fortunatamente, ha rovesciato la sua demenziale linea di stampo ultra rigorista. In più anche Bagnai e Borghi dovrebbero essersi accorti che la Bce sta comprando Btp per miliardi: senza tutto ciò il nostro spread sarebbe alle stelle. Per di più negli Usa non c’è più Trump, ma Biden che, pur con tutti i suoi evidenti limiti, persegue la linea della solidarietà fra gli Usa e la Ue, sta cercando di ristabilire un rapporto contrattuale con la Russia ritenendo la Cina come l’avversario più pericoloso perché più potente (la Cina è forte sia sul piano economico che su quello militare, mentre la Russia è forte sul piano geopolitico e debolissima sul piano economico). 

 

 

Rispetto a tutto ciò, emergono le contraddizioni e gli elementi di debolezza delle forze politiche italiane. Finora la forza del Pd è derivata dai suoi rapporti con l’Unione Europea e con gli Usa. A questo proposito potremmo anche dire: troppa grazia Sant’Antonio. Per far dimenticare il passato di una parte di esso (la ditta comunista) il Pd ha ecceduto nella subalternità nei confronti di aspetti dell’Unione Europea tutt’altro che condivisibili. Poi fra il Pd e il M5s adesso sta emergendo la presenza di autorevole agenti di influenza filocinesi, da Grillo a D’Alema. Grillo ha un approccio folcloristico al tema, ma comunque sta facendo di tutto per caratterizzarsi come un sostenitore del celeste impero. Su D’Alema il discorso è più complesso: egli, essendo un sostenitore della realpolitik a tutti i costi, subisce il fascino indiscreto delle grandi potenze, dall’Urss, agli Usa (tutti ricordiamo i bombardamenti sulla Serbia fatti prima di avere il via libera dal parlamento), adesso l’esaltazione della moderna via della Seta fatta evocando la fine della povertà e dimenticando le decine di milioni di morti su cui Mao Tse-Tung ha edificato il suo impero. Chi ha molte gatte da pelare in questo contesto internazionale e interno è Salvini, avendo però anche alcune carte da giocare. Sono largamente in crisi il sovranismo e l’antieuropeismo, sono tutt’altro che brillanti le oscillazioni nella gestione della pandemia, ma l’adesione ai referendum radicali è stata una mossa brillante, specie se paragonata ai grotteschi balbettamenti che caratterizzano proprio Enrico Letta e il Pd. Dopo quella sui referendum, Salvini avrebbe a disposizione qualche altra mossa incisiva qualora invece di inseguire Orban e Morawiecki per improbabili e controproducenti aggregati sovranisti (che fra l’altro sono contro l’Italia sia sulle quote di immigrati, sia sulla politica economica) invece facesse i conti in Europa con un signore che si chiama Weber. Weber non è l’erede del famoso sociologo, ma è un autorevole esponente del Ppe e della Cdu. Se Salvini e i suoi amici la smettessero di andare a Mosca, riacquisissero almeno parzialmente un ruolo garantista e liberale attraverso i referendum radicale e si avvicinassero al Ppe ecco che potrebbero mettere in grave difficoltà un Pd allo sbando dove perfino un personaggio autorevole come Bettini ha dei nemici così perfidi che hanno sospeso dal partito un dirigente romano che lo aveva contestato (e questi sarebbero i riformisti moderni?). Riuscirà Salvini ad andare oltre i suoi tifosi più beoti e acritici e a far politica?

 

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