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Giuseppe Conte stravolge il Movimento 5 Stelle. "Onorevoli" anche i grillini e terzo mandato

Pietro De Leo
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Riponete in frigo la mitologica scatoletta di tonno. Mettete nell’archivio le foto dell’assedio al Parlamento, in piazza, quando nel 2013 si votò per il bis di Giorgio Napolitano al Colle. Ora il Movimento 5 Stelle sarà nel segno della «rivoluzione gentile». Parola di Giuseppe Conte, neo leader in conto terzi, che ha spiegato il suo piano d’azione intervenendo a «Mezz’ora in più» di Lucia Annunziata. Niente toni furiosi e furenti del passato, il M5S tirato a lucido sarà un qualcosa di ovattato, candido ed educato. A partire dal linguaggio. «Per me onorevole non è una parola diffamatoria - ragiona l’ex Presidente del Consiglio - dipende da come si svolge il mandato». E dunque vien giù uno dei tanti mantra degli inizi, quella pretesa (che disorientò i commessi del Parlamento) dei deputati pentastellati di esser appellati come «cittadini», perché su quegli scranni sedevano in quanto meri rappresentanti. L’altro mantra, poi, è il tetto del doppio mandato. Qui, Conte appare più felpato: «Non è nello statuto e non sarà nel nuovo statuto, è nel codice etico, quando sarà nel codice etico ce ne occuperemo». Ma da settimane rumors parlano di una certa inclinazione del prof a superarlo. Su questo «c’è la posizione di Grillo da considerare, mi assumerò la responsabilità di formulare una proposta nel quadro della ragiuonevolezza e poi coinvolgeremo gli iscritti». Ma insomma, non sarà che questo nuovo Movimento voglia acquisire i connotati di una formazione che magari adocchi alla sinistra Dc prima Repubblica. No, le vecchie formule sembrano bandite. «Non avremo la forma del partito tradizionale – osserva Conte - quella novecentesca, perché sta attraversando un forte deficit. Avremo una struttura organizzativa in forma light ma ci sarà». 

 

 

In ogni caso, la leadership passerà il vaglio del voto degli iscritti: «Ho bisogno di una grande investitura, non posso accontentarmi di un voto in più di maggioranza». Insomma, Conte vuole il plebiscito. Sulle alleanze spiega: «Con il Partito Democratico il dialogo è continuo e serrato. Enrico Letta è una persona perbene e disponibile e ci sentiamo costantemente». Tuttavia, «non dobbiamo sovrapporci al Pd perché abbiamo un altro DNA. Noi ad esempio abbiamo una propensione a dialogare anche con un elettorato moderato». Ecco, quindi, altra strizzata d’occhio al centro. Nel corso della puntata esclude poi di voler correre all’uninominale di Primavalle e poi c’è il tema dei rapporti di forza nell’Esecutivo. «Il sostegno al governo Draghi continuerà a essere chiaro e trasparente. L'unica cosa che non si può chiedere a un partito di maggioranza relativa è di non pesare sui tavoli», dice. Che suona tanto un’affilata di armi, specie dopo che nelle nomine principali (dal commissario all’emergenza sino all’intelligence), l’attuale premier si è mostrato rapido ed energico nell’attuare avvicendamenti, il che non ha lasciato benissimo Conte.

 

 

E a proposito di distinguo e mal di pancia, ecco il tema Cina. La questione è nota. Tre giorni fa, mentre Draghi era impegnato in un G7 di chiara impronta anticinese, Conte avrebbe dovuto recarsi con Grillo dall’ambasciatore del regime di Pechino in Italia. Iniziativa che era stata letta come un gesto non proprio di amicizia verso Draghi. Poi, il prof ha soprasseduto all’impegno per motivi familiari. Ieri ha chiarito così: «Non è la prima visita che avrei fatto». E poi ha aggiunto: «L’Alleanza Atlantica è un pilastro, così come la Ue. Il fatto di poter dialogare anche con asiatici importanti come la Cina è di utilità per tutti». Prova a stemperare le polemiche, ma la convivenza al governo, al di là delle mozioni di bontà, non si preannuncia per nulla semplice. 

 

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