Giuseppe Conte, il Marco Polo di Volturara Appula che gioca col fuoco della Cina
La Cina da tempo agita i suoi tentacoli sull’Europa. La strategia è ormai evidente, ed è la stessa utilizzata dalla Russia di Putin e da quel Bannon che si muoveva all’ombra di Donald Trump: assicurarsi legami con i partiti populisti, visti dai nemici dell’Europa come perfetto cavallo di Troia per distruggere dall’interno il modello delle democrazie liberali e per dividere un’Unione che, se completasse il processo di integrazione, si porrebbe nello scacchiere geopolitico come potenza centrale e imprenscindibile da qualunque strategia. E così, è proprio la Cina a soccorrere Orban nella sua guerra al finanziere Soros, sostituendo l’Università di Open Society con quella Fudan di Shangai. È la Cina a costruire un’autostrada in Montenegro, non completandola e lasciando il Paese balcanico indebitato sotto la sua morsa. Allo stesso modo, si è insinuata nel nostro Paese con la via della Seta, l’accordo firmato in epoca di Governo gialloverde, quando i rapporti fra Roma e Pechino si fecero più intensi e amichevoli che mai.
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Il Conte Liquido, se da sovranista si è trasformato in fortissimo punto di riferimento dei progressisti nel passaggio dal suo primo al suo secondo Governo, è stato infatti un solido alleato dei cinesi. E proprio sulla Cina si fonda il legame con uno dei più influenti consiglieri politici dell’ex Premier: l’insospettabile Massimo D’Alema. Come dimenticare l’apoteosi di Pechino da parte della comunicazione di Palazzo Chigi nel marzo 2020, la Cina descritta come salvifico fornitore di mascherine e respiratori. Peccato che poi, un anno dopo, si scoprirà che quelle mascherine erano farlocche e che i respiratori, di cui proprio D’Alema aveva favorito l’acquisto, erano non funzionanti. L’arrivo di Draghi, però, inceppa il meccanismo: il cambio di passo appare subito chiaro anche in politica estera, con il suo discorso di insediamento che non lascia dubbi sulla solida collocazione euro-atlantica del BelPaese.
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Dall’altra parte dell’oceano, l’arrivo di Biden non sembra poi cambiare la politica di tolleranza zero nei confronti di Pechino da parte degli USA. Fino ad arrivare allo scorso venerdì, quando il disegno dei leader del G7 si fa chiaro: basta tolleranza nei confronti di Pechino. In tutta risposta, Beppe Grillo si reca dall’ambasciatore cinese a Roma. Un gesto fortemente simbolico, che potrebbe essere letto, dai conoscitori della cultura cinese, come una prova di fedeltà richiesta all’alleato populista italiano. Giuseppe Conte decide di disertare l’incontro: lo fa però all’ultimo minuto e si giustifica in modo infantile, timoroso, adducendo generici impegni e apparendo un po’ come lo scolaretto che accampa scuse fantasiose per non aver svolto i compiti a casa. D’altronde, è stato proprio lui, da Premier, ad aver messo in crisi l’alleanza con gli Stati Uniti di Biden, da un lato per il rapporto opaco con Trump, dall’altro, appunto, con la vicinanza alla Cina. Anche questa volta, il Conte Liquido non sorprende; decide di non prendere posizione, dimenticando forse che è finita l’epoca dei governicchi e che galleggiare non è più una strategia spendibile. Prima di ambire a diventare il Marco Polo di Volturara Appula, farebbe bene a pensarci due volte: nel rinnovato clima geopolitico, non prendere una posizione nei confronti di Pechino significa, in fondo, dichiararsi complici di uno dei regimi più sanguinari della storia e nemici degli Stati Uniti, un po’ come una volta lo era mettersi fuori l’ombrello della NATO per trovare riparo sotto quello di Mosca.
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