centrodestra
Enrico Michetti e Simonetta Matone, una coppia per uscire dalla notte
E «al di là della notte/mi aspetterà/ spero/il sapore di un nuovo azzurro». Sono le parole che chiudono una delle «Poesie d’amore» del poeta turco Nazim Hikmet, uno dei più grandi spiriti del Novecento. E al di là della notte speriamo che riesca ad uscire Roma, che ha attraversato in tutti i sensi anni fra i più bui della sua storia.
Ieri dopo un’attesa finita e non meno oscura il centrodestra ha scelto chi potrà provare a guidare questa città fuori dal buio: messi da parte piccoli litigi e baruffe evitabilissimi, il candidato sindaco sarà l'avvocato Enrico Michetti che tanto apprezzava Giorgia Meloni, che correrà in ticket come si fa per la presidenza Usa con una sua vice, quella Simonetta Matone su cui puntava di più Matteo Salvini. Due esponenti della società civile anche se entrambi provengono dal settore della giustizia: avvocato amministrativista Michetti, magistrato (fu presidente del Tribunale dei minori di Roma) la Matone, che è un po' più conosciuta grazie alle numerose apparizioni televisive, specie nel “Porta a Porta” di Bruno Vespa. Chi li ha proposti è convinto che entrambi avessero le capacità necessarie a guidare una città che troppe volte è sembrata non amministrabile, e confidiamo in una scelta all'altezza della situazione. Quel pizzico di notorietà che manca ai due candidati può essere conquistato in una campagna elettorale che sarà ancora lunga anche se incrocerà l'inevitabile desiderio di spensieratezza e vacanza dei romani dopo un anno come quello che abbiamo tutti vissuto.
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Cinque anni fa i romani in modo quasi plebiscitario avevano scelto Virginia Raggi sindaco con un desiderio di cambiamento e pulizia che sembrava naturale all'indomani di una inchiesta giudiziaria come quella di Mafia Capitale che aveva quasi azzerato una intera classe dirigente locale mostrando una città devastata dalla corruzione e dal malaffare. Il tempo avrebbe poi fatto capire che molti capi di accusa di quella bufera giudiziaria poggiavano su gambe fragili, e primo fra tutti quello stesso nome di battesimo dell'inchiesta - «Mafia capitale» - è stato disintegrato nei processi: mai esistita una associazione mafiosa che muoveva i fili del Campidoglio a suo piacimento. Ma il quadro di corruzione anche spicciola offerto dalle carte giudiziarie hanno spinto i cittadini a cercare qualcosa più di una ventata di novità, puntando su chi non aveva radici nel potere passato, né scheletri possibili nell'armadio ben immaginando tutti che chi veniva scelto non aveva alcun tipo di esperienza e per questo avrebbe potuto compiere errori anche banali.
I cinque anni della Raggi questo sono stati: una serie lunga di errori e di inesperienze, talvolta veniali altre anche gravi. Disastrosa la scelta degli uomini e delle donne che servivano per amministrare la città in Campidoglio come nelle aziende controllate. Ne sono stati cambiati più del bucato, e spesso persone valide sono state scaricate in fretta con motivi ridicoli (ad esempio Paola Muraro) per essere rimpiazzate con persone assai più incapaci. Come in un puzzle sono state continuamente sostituite caselle, senza mai arrivare a disegnare una vera amministrazione di una città. Così si è infilato errore dietro ad errore, con colpe anche dovute alla difficoltà della nuova classe dirigente a rapportarsi con altre istituzioni preferendo lo scontro ideologico alla ricerca della soluzione dei problemi, la capitale di Italia è sprofondata in una situazione di caos che da cittadino di Roma dal 1990 non avevo mai visto prima.
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Non ho mai assistito a una emergenza rifiuti ripetuta ciclicamente senza mai trovare tregua degna di questo nome per tutti e cinque questi anni. Non ho mai visto la città in condizioni di sporcizia e di degrado come in questi tempi. Visto nel passato qualche filmato curioso, ma non mi era mai capitato di dovere inchiodare a Roma anche a poca distanza dal centro città per non mettere sotto una mamma cinghiale che attraversa la strada con tutta la sua nidiata di cuccioli. Non ho mai visto in 31 anni i parchi e il verde di Roma nella situazione di abbandono in cui oggi si trovano ovunque in qualsiasi quartiere della città. Non ho mai visto in 31 anni una città senza luce come quella che al calare del sole mi capita attraversare. Non ho mai visto centinaia di mezzi pubblici prendere fuoco nelle strade della capitale terrorizzando i passeggeri. Né le stazioni della metropolitana inaccessibili per mesi anche in centro città perché non c'era più una scala mobile che funzionasse. Non ho mai raccolto prima di questi tempi testimonianze drammatiche di chi al dolore di avere perso un proprio caro ha dovuto aggiungere il dramma di non poterlo seppellire, di dovere fare centinaia di km in altre Regioni per poterli cremare e attendere per mesi le urne senza un posto dove poterli nemmeno piangere. Cose così non accadevano nemmeno agli albori della civiltà umana.
Quel che invece ho visto anche in passato - nulla è cambiato in quello - è una classe dirigente che pur scusabile per una inesperienza che i romani conoscevano bene prima del voto (e molto per quello hanno perdonato), si è rivelata come la vecchia politica incapace di prendersi le sue doverose responsabilità, di chiedere scusa e provare a riparare errori che invece mai sono stati riconosciuti, venendo seppelliti da tonnellate di becera propaganda. Questa sì è una colpa grave, come peccato mortale è fare rimpiangere come ho sentito da troppa gente nei bar, nei supermercati, nelle piazze, quelli che magari rubavano ma facevano funzionare le cose. Li capisco, perché alla fine è molto più importante che la spazzatura venga portata via, che i cinghiali se ne stiano in campagna, che le strade siano sicure e illuminate, che sia possibile seppellire i nostri cari all'indomani del loro decesso, che i parchi e il verde pubblico siano puliti e mantenuti in modo decoroso, che gridare «onestà, onestà e onestà» che se resta sola vale zero ed anzi è perfino irritante. Roma è precipitata in una notte assai lunga. Non resta che sperare nel «sapore di un nuovo azzurro».