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Sui pm il Pd dà ragione a Berlusconi: la giravolta clamorosa tra pagelle e giudici superstar

Carlo Solimene
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Separazione delle carriere. Pagelle sul «rendimento» dei magistrati. Stop ai pm superstar in tv. No, non è la riedizione del programma elettorale di Silvio Berlusconi. Uno di quelli, per intendersi, che bastava declinarli per ritrovarsi in piazza il Popolo viola a protestare e dover fare i conti con lo stentoreo «resistere, resistere, resistere» di Saverio Borrelli. No, oggi quelle parole d'ordine sulla giustizia le pronuncia il Pd. La forza, cioè, che più di tutte nel ventennio berlusconiano si è schierata al fianco delle toghe nel durissimo braccio di ferro tra centrodestra e magistratura. A svelarlo, non senza sottolinearne la portata in qualche modo storica, «La Repubblica». Ieri, racconta il quotidiano fondato da Scalfari, la deputata Dem Anna Rossomando ha depositato alla Camera una serie di emendamenti alla riforma del Consiglio superiore della magistratura. I più sorprendenti sono quello che prevede l'introduzione di una sorta di «pagella» per valutare professionalmente i magistrati e quello che mira a spegnere i riflettori dei media sulle toghe «vip». In particolare, le pagelle si baserebbero sugli insuccessi conseguiti nei procedimenti imbastiti dai pm. In pratica, se un magistrato chiede decine di rinvii a giudizio e alla fine l'inchiesta si risolve con un nulla di fatto, questo deve essere considerato nel suo curriculum professionale al momento di fare scelte sulla sua carriera. Mentre lo stop alla spettacolarizzazione arriverebbe col divieto di conferenze stampa show per lasciare spazio «a sobri comunicati stampa».

 

 

Basta fare un semplice esercizio di memoria per ricordare come, nel 2008, un provvedimento con fini simili fu presentato da Forza Italia. A firmarlo fu Francesco Paolo Sisto (avvocato come la collega Rossomando) e la proposta si basava sul divieto di rendere noti i nomi dei pm che conducevano un'inchiesta, proprio per evitarne le manie di protagonismo. Non se ne fece nulla. Mentre sulle pagelle la questione è più controversa, perché una simile proposta venne fuori già nel 2019 e il centrodestra ne denunciò il rischio di sfavorire i magistrati che seguono le inchieste più difficili a scapito di chi lavora su cause semplici e vinte in partenza. Su questo, però, la Rossomando specifica: «Utilizzeremo criteri che evitino di scoraggiare le inchieste "difficili", quelle sui grandi gruppi criminali, sui reati finanziari» eccetera. Possibile che una linea così eretica rispetto alla storia Dem sia davvero quella ufficiale del partito? Ebbene si, perché la Rossomando non è una deputata qualsiasi, bensì la responsabile per la Giustizia appena scelta nella segreteria di Enrico Letta. E nessuno al Nazareno, per tutta la giornata di ieri, ha alzato la voce per smarcarsi.

 

 

Assai più polemiche, semmai, ha provocato l'uscita di Goffredo Bettini. Che, in una lunga lettera a «Il Foglio» (diventato, negli ultimi giorni, il luogo preferito per le abiure dei giustizialisti) appoggia a sorpresa i referendum dei Radicali sulla giustizia già sposati dalla Lega di Matteo Salvini. In particolare, scrive, «il quesito circa la separazione delle carriere è condivisibile; quello sulla custodia cautelare anche; così come il quarto quesito che riguarda l'abrogazione della legge Severino». Una serie di idee maturate da Bettini in seguito a «linciaggi personali che poi si sono risolti nel nulla», «è toccato a tutti, da una parte e dall'altra», «da Bassolino che ha ottenuto 19 assoluzioni dopo un travaglio di anni a Virginia Raggi». Una svolta copernicana, quella di Bettini. Perché ripercorre le storiche battaglie di Berlusconi proprio sulla separazione delle carriere e sull'abuso della custodia cautelare. E contesta quella legge Severino che, nel 2013, sancì la decadenza del Cavaliere dal Senato della Repubblica. Ma a sorprendere è soprattutto il fatto che certe parole arrivino dal maggior sostenitore nel Pd dell'alleanza con i «giustizialisti» dei 5 stelle. E a farlo notare è il renziano Davide Faraone: «Siamo stati un anno a battagliare col M55 sulla giustizia. Noi garantisti, il M5S giustizialista, il Pd si girava i pollici e Bettini amoreggiava con Conte e Bonafede. Oggi leggere il suo appello a non snobbare i quesiti referendari dei radicali è a dir poco esilarante». Davvero sono bastati lo scandalo Palamara, la vicenda della loggia Ungheria e l'assoluzione dell'ex sindaco di Lodi Uggetti a cambiare la percezione dei Dem sulla giustizia? Nell'attesa di scoprirlo, resta una domanda: arriverà mai un mea culpa per il passato?

 

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