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Giovanni Brusca, l'ira di Giorgia Meloni: "Vergogna e schiaffo alle vittime. Noi non vi dimenticheremo"

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La scarcerazione del boss Giovanni Brusca per fine pena provoca reazioni forti e aspre polemiche. Anche la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni si scaglia contro la decisione di liberare l'assassino di Giovanni Falcone, l'uomo che ha fatto esplodere le bombe e provocato la strage di Capaci, quello che ha sciolto nell'acido un bambino, il figlio di un pentito di mafia. Dopo 25 anni, Brusca, pagato il suo debito con la giustizia, esce dal carcere. E si scatena la bufera: "La scarcerazione di Giovanni Brusca rappresenta una vergogna - denuncia Giorgia Meloni sui social - uno schiaffo morale a tutti coloro che sono caduti sul fronte della lotta alla criminalità organizzata. Il mio pensiero è rivolto alle vittime innocenti uccise dalla mafia. Noi non dimentichiamo i nostri eroi".

I superboss mafiosi, quelli che hanno comandato cosa nostra o sono stati protagonisti della stagione della mafia dei Corleonesi, la più feroce e violenta, o sono morti come Totò Riina e Bernardo Provenzano o sono stati arrestati e stanno scontando decine di ergastoli in regime di 41 bis come Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Filippo Calò. Uniche due eccezioni sono Matteo Messina Denaro, il superboss, l'ultimo dei corleonesi, la primula rossa latitante dall'estate 1993, per molti il custode dei segreti di quella stagione di commistioni fra mafia e pezzi dello Stato. L'altra è proprio Giovanni Brusca, l'unico pentito ad aver scontato in carcere 25 anni di condanna. Gli altri pentiti illustri, a cominciare da Tommaso Buscetta negli anni ottanta entrarono nel programma per i collaboratori di giustizia e di galera ne fecero ben poca.

Graviano, Bagarella, Calò, i lo Piccolo padre e figlio tutti pezzi da novanta nello scacchiere mafioso degli anni 90, tutti boss a capo di famiglie e mandamenti che potrebbero raccontare la verità su quella stagione, potrebbero raccontare quello che Brusca non ha avuto il coraggio di dire ai magistrati "per paura", come lui stesso ha sempre ammesso. Potrebbero svelare che tipo di contatto, accordo, trattativa c'è stata, se mai ci fosse stata, fra Totò Riina e i corleonesi con pezzi dello Stato. Invece non hanno mai raccontato nulla ai giudici, fedeli all'ortodossia mafiosa di Totò Riina e Bernardo Provenzano che non accettarono mai di parlare con i magistrati.

Ora di boss di quella sanguinosa stagione mafiosa ne usciranno altri, personaggi minori quando vennero arrestati, oggi saliti al rango di capi proprio perché protagonisti della guerra allo Stato degli anni novanta. Alcuni di loro come Settimo Mineo sono stati scarcerati e di nuovo arrestati. Mineo voleva ricostruire la commissione provinciale ma l'intervento della direzione distrettuale antimafia e dei carabinieri impedì che si formasse e prendesse potere la cupola 2.0.

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