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Un barboncino ha fatto tremare governo, scienziati e Cts. Brividi per la causa "animale"

Franco Bechis
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Non c'è riuscito Matteo Salvini anche quando batteva ogni giorno sullo stesso tasto. Non ci è riuscita Giorgia Meloni che da mesi ogni tipo di polemica ha provato a fare. Non ce l'hanno fatta i ristoratori che a momenti stavano per darsi fuoco in piazza come bonzi per ottenere una riaperturina o un allentamento del coprifuoco. Però a mettere in crisi mezzo governo, la schiera intera dei virologi, le direzioni del ministero della Salute, l'avvocatura dello Stato, la presidenza del Consiglio, l'intero Comitato tecnico-scientifico guidato dal professore Franco Locatelli è stato un barboncino. Simbolicamente, certo, perché le sue ragioni ha provato a farle valere una signora di Perugia, Luisa, che gestiva una “barberia” per cani e gatti proprio in quella città. E' stata lei a prendere le parti del barboncino oltre di che sé stessa a fine febbraio, facendo una semplice domanda: “perché mai gli uomini e le donne anche nelle zone rosse possono tagliarsi il capello, aggiustarselo, lavarselo e poi portare le proprie vesti in tintoria e tutto questo è vietato a cani, gatti e altri animali che pure il virus non trasmettono fra loro e nemmeno agli umani?”.

 

 

Eh sì, perché l'ultimo dpcm di Giuseppe Conte aveva allentato la presa anche in zona rossa sui cosiddetti “servizi alla persona”, concedendo l'apertura di alcuni esercizi che fin lì nei lockdown più duri erano stati chiusi. Porte aperte anche con i divieti più rigidi dunque per parrucchieri, barbieri, saloni di bellezza, tintorie ed affini. Ma serrande giù per tutti gli esercizi che facevano toelettatura per animali. Se il barboncino non vedeva più nemmeno a un metro per eccesso di frangia, doveva rassegnarsi all'attesa o al miglioramento della curva dei contagi, perché il parrucchiere per animali non poteva intervenire per decreto governativo. Ora la nostra tenace signora Lucia ha fatto una domanda secca secca che ha messo in imbarazzo tutto il vertice della emergenza sanitaria: “quale è la motivazione scientifica per cui io devo stare chiusa in zona rossa e gli altri esercizi no? Chi ha stabilito che da me che vedo solo bestie si rischiano più contagi che in parrucchieri e barbieri frequentati solo da umani? Mi fate vedere un verbale del comitato tecnico scientifico che stabilisce questo? Perché se non c'è, allora mi avete chiuso ingiustamente e arbitrariamente. E allora mi dovete dare un risarcimento per ogni giorno di ingiusta chiusura”.

 

 

Il ragionamento della signora Lucia non faceva una grinza. Dico subito che alla fine però la poveretta è restata a bocca asciutta, perché il Tar del Lazio dopo lunga attesa e lunghe discussioni l'ha risolta molto salomonica: quando si è arrivati alla decisione l'Umbria non era più in rosso, e quindi la signora Lucia aveva il suo esercizio regolarmente aperto e non aveva danni. Inoltre il dpcm di Conte era ormai decaduto e le regole cambiate. Sfortuna vuole che nella causa mancavano alcuni documenti della denunciante, e quindi non si poteva procedere e si è archiviato con la gioia di tutti. Ma non è stato così facile nelle settimane precedenti. Perché a tutti è venuto il sospetto di avere fatto una bella castroneria chiudendo quegli esercizi, così sulla schiena è corso un brivido: “e se domani ci chiedessero il risarcimento tutti i cani e i gatti di Italia?”. Grande agitazione, scambio di lettere fra presidenza del Consiglio e ministero della Salute, richiesta di parere (con risposta non tranquillizzante), all'Avvocatura dello Stato, e poi la scelta congiunta: “ributtiamola addosso al Cts, saranno stati loro i responsabili di questa sciocchezza. Magari c'è pure una ragione scientifica...”.

Al Cts non l'hanno mica presa bene, tanto da avere verbalizzato la loro indignazione per il sospetto e avere risposto sia pure in burocratese al governo di non provarci nemmeno a ributtare sulle loro spalle sciocchezze altrui. Secchissimo il verbale di quel giorno: “Il Comitato”, recita, “dà mandato alla Segreteria di informare il Dipartimento richiedente che il CTS non si è mai specificamente interessato della situazione delle imprese di toelettatura di animali e che, pertanto, non può fornire utili informazioni circa le ragioni dell’inserimento, o meno, di tale attività tra i servizi per la persona. Queste informazioni andranno, pertanto, fornite dalle Amministrazioni competenti per materia”. Ma non si sono limitati a quello, aggiungendo pure una considerazione che ributtava la palla nel campo del governo: “Con l’occasione, il Comitato ritiene opportuno indicare all’attenzione delle Amministrazioni competenti, fra le quali innanzi tutto la Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari del Ministero della Salute, il tema generale della possibilità di fruire – nei limiti, s’intende, delle esigenze generali di sicurezza dettate dalla pandemia – dei servizi di toelettatura e degli altri servizi per gli animali da compagnia, anche in considerazione dei profili etici e dei doveri di tutela sanciti dall’ordinamento nazionale e da norme europee”. Bello schiaffone, davvero. E splendida vicenda quella del barboncino (con signora Lucia) che ha fatto per la prima volta tremare tutti i vertici del “regime pandemico-sanitario” di questi tempi...

 

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