Quirinale e il bis di Mattarella, "lasciamo che Draghi..." Perché il Colle può aspettare
Soprattutto in passato riscuoteva molte adesioni la tesi della necessaria programmazione dello sviluppo delle carriere nel comparto pubblico. Ciò comportava che si pianificasse, per tempo, anche l’assunzione in prospettiva, da parte di funzionari e dirigenti, dei gradi apicali: un piano, per la verità, non sempre fattibile e non sempre attuabile. Nella Banca d’Italia vigeva il principio, caro all’allora Governatore Guido Carli, dell’ordinato sviluppo delle carriere.
Qualcosa di simile, ovviamente “mutatis mutandis”, sembra si voglia da alcuni con l’improbabile programmazione dell’ascesa – addirittura in qualche caso si usa il termine liturgico di “Avvento” che precede il Natale – di Mario Draghi al Quirinale. Per questo obiettivo – e non, invece, per quello che potrebbe risultare un fondamentale interesse superiore del Paese – si vorrebbe che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nonostante il suo cortese, ma palese e motivato rifiuto, restasse nella carica ben oltre la scadenza del mandato del prossimo febbraio. In questo modo, secondo qualcuno, si darebbe la possibilità a Draghi di completare o di fare avanzare consistentemente l’opera del Governo e, poi, di essere pronto per l’“Avvento”.
Inutile dire che questo giocare al “monopoli” non ha nulla di apprezzabile e, probabilmente, il primo ad avere repulsione per questa specie di movimento di pedine a tavolino, accompagnato da adulazioni e “captatio benevolentiae”, sia proprio Draghi. Con il previsto inizio del semestre bianco il prossimo 3 agosto, e le successive competizioni elettorali per la scelta dei sindaci, la convivenza nella maggioranza di forze politiche, in alcuni casi enormemente distanti, si farà più difficile. Il quadro di un Capo dello Stato che non ha più l’arma dello scioglimento delle Camere e si avvia a concludere la propria missione – a meno che non sopravvenga un ripensamento che potrebbe mettere d’accordo tutti o molti ma non per preparare l’“Avvento” di Draghi – e di un Premier sul piede di partenza per il Colle, mentre si avvia una campagna semestrale per il Quirinale, sarebbe il peggio che si potrebbe verificare. E ciò mentre non si potrà dire ancora debellata completamente, come si dovrebbe, la pandemia e occorreranno assoluti impegni per attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Si tratterebbe, comunque, della prima volta nella storia dell’Italia repubblicana che una tale programmazione avverrebbe evocando, piuttosto, le successioni dinastiche.
D’altro canto, sappiamo bene che storicamente, non le pianificazioni largamente anticipate non avvenute, bensì la definizione di impegni per il voto per il Colle di solo pochi giorni prima dell’effettiva elezione sia poi stata smentita dalle urne delle Camere o immediatamente prima del voto. Aprire sin d’ora una discussione per l’individuazione del futuro inquilino del Quirinale sarebbe, dunque, anche inutile sopravvenendo di norma, a ridosso delle elezioni, come insegna l’esperienza, la presentazione di nomi di candidati che oggi sono fuori anche dalle rose sulle quali si dilettano le cronache. Allora, si pensi, come bisognerebbe fare sempre, all’“age quod agis”, a fare ciò a cui si è ora chiamati e a farlo bene, cominciando dalla politica economica e sociale, non immaginando, magari non da parte dell’interessato, di stare in un posto, ma di potere a breve traslocare in un altro, senza aver dato una compiuta prova, con risultati concreti, di ciò che si è realizzato nel primo posto.