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Scintille tra Enrico Letta e Matteo Salvini. La maggioranza di Governo traballa sulle riforme

Nadia Pietrafitta
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Non solo la data delle riaperture. Adesso, all'interno della maggioranza, lo scontro si accende anche sulla data «di scadenza» della legislatura. La miccia la accende Matteo Salvini. Il leader del Carroccio è intenzionato a circoscrivere l'azione del Governo all'emergenza: vaccini e «ritorno alla vita». «Non sarà questa maggioranza a riformare giustizia e fisco. La ministra Cartabia può avere le idee chiare, ma se sei in Parlamento con Pd e M5s, per i quali chiunque passa lì accanto è un presunto colpevole, è dura», sentenzia, subito dopo aver lanciato la candidatura di Mario Draghi per il Quirinale. Il primo a storcere il naso è Enrico Letta. Se è questa l'intenzione di Salvini, mette in chiaro, «penso che le nostre strade debbano rapidamente divergere. Se dice che non si fanno le riforme, tragga le conseguenze ed esca da questo Governo, perché questo Governo è qui per fare le riforme. Lasci. E lasci che le riforme le faccia Draghi con chi le vuole», sentenzia.

 

 

Il leader della Lega non accetta aut aut: «Letta e Grillo vogliono la Lega fuori dal governo per approvare Ius Soli, Ddl Zan e patrimoniale? Poveri illusi, gli alleati più leali, di Draghi e dell'Italia, siamo e saremo noi», scrive su Twitter coniando per l'occasione l'hashtag «ossessionati». A palazzo Chigi, in ogni caso, non si lasciano scomporre più di tanto. Noi abbiamo un programma di Governo e faremo tutto il possibile per realizzarlo, è la linea. Nei tre mesi di Governo trascorsi sin qui, viene sottolineato, si sono fatte le cose necessarie nei tempi giusti. Ora la riforma della giustizia, della semplificazione e della concorrenza sono conditio sine qua non per far passare il Pnrr a Bruxelles. Senza non passa. Ecco perché Mario Draghi (che in queste ore non ha sentito Matteo Salvini) si è dato una tabella di marcia per fine maggio e una per fine giugno per arrivare all'ok del piano, poi verranno gli altri punti in agenda. Anche Cartabia, viene fatto notare, sta facendo gli opportuni approfondimenti e si procederà un passo alla volta. I dibattiti tra le parti politiche - è il ragionamento - sono un'altra cosa ma il Governo non deve essere tirato per la giacchetta.

 

 

In questa direzione il Pd torna a essere il più forte sostenitore dell'ex presidente Bce. Non fare le riforme, ragionano al Nazareno, significa mettere Roma in difficoltà con Bruxelles ed è molto grave. Per i Dem, il vero nodo, il motivo per il quale Salvini sarebbe pronto a «lanciare la palla in tribuna» è la riforma della Giustizia. Letta e i suoi sostengono la mediazione targata Cartabia e puntano il dito contro l'alleato che, pur di non sedersi al tavolo «nonostante un premier così autorevole e il massimo bilanciamento possibile operato dalla Guardasigilli, ha scelto la scorciatoia del referendum, approfittando di uno strumento nobilissimo per tirare un po' la corda». Sul tavolo ci sono gli ultimi sondaggi. Per Giorgia Meloni l'opposizione al governo Draghi è una manna dal cielo in termini di consensi, mentre la Lega continua a calare, tallonata dal Pd che sembra non aver risentito della battuta d'arresto di Roma. Considerando anche il M55, «ci sono quattro partiti in pochi punti e la volata della Lega sembra ora recuperabile, ecco perché Salvini è in fibrillazione», ragionano al Nazareno. La priorità, però, per i Dem è che il Governo Draghi abbia «l'agibilità necessaria» non solo per fare le riforme necessarie a ottenere i fondi del Next generation Eu, ma anche «per attuare» i progetti del Pnrr.

 

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