corsa al campidoglio
Elezioni solo quando conviene alla sinistra, l'ultimo schifo del Pd di Letta
A Roma voteremo a rate se passa la pazza idea di Enrico Letta di consentire a Nicola Zingaretti di candidarsi al Campidoglio ma senza mollare subito la regione Lazio. Con la conseguenza – in caso di vittoria del governatore – di regnare per altri tre mesi sul Lazio per farci votare per la sola Capitale tra dicembre e gennaio. Sono pazzi. È un’autentica schifezza. Siamo agli affari propri alla faccia delle comunità amministrate. Le istituzioni come pedine su cui giocare destini personali conditi dalla politica. Uno scandalo etico.
E il marchio dell’ignominia se lo spartiscono entrambi, se questa brutta cosa la tentano. Enrico Letta e Nicola Zingaretti non sanno che pesci prendere. Le strombazzate primarie rischiano di rappresentare un buco nell’acqua col rischio che la candidatura del già bollito ex ministro dell’economia sbalzato dalla seggiola da Mario Draghi, non arrivi neppure al ballottaggio. A causa della tenaglia Virginia Raggi – Carlo Calenda. Letta ha bisogno di non fallire, Zingaretti non sopporta più una regione piena di guai e vuole scappare. Ma l’appuntamento elettorale del 2023 gli pare troppo lontano e l’ingordigia fa brutti scherzi.
Assieme, scappano dalle responsabilità. Eppure, il presidente della regione farebbe bene a starsene accorto, perché non c’è dubbio che in campagna elettorale per le comunali - con una sua candidatura – verrebbe giù di tutto. Altro che leggere i sondaggi della vigilia, a partita non ancora iniziata, mentre il centrodestra comincia ora finalmente a tentare di compattarsi.
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Ha ben effigiato la situazione Chiara Colosimo, consigliera regionale di Fratelli d’Italia, e molto ascoltata da Giorgia Meloni: «Praticamente per Zingaretti la Regione Lazio è meno di un dopolavoro: prima l’ha vinta per candidarsi segretario, poi l’ha tenuta per metterci il Pd a lavorarci dentro (anche nei suoi comuni) poi mollato il nazionale, la tiene per farsi la campagna a Roma». E tutto questo lo devono pagare i cittadini? Sì, è egoismo personale proprio per la fuga dalle responsabilità. Con la regione che dovrebbe arrivare al voto mesi dopo, in differita praticamente. Zingaretti è terrorizzato dall’idea di votare lo stesso giorno, come si dovrebbe fare lealmente visto che è lui a candidarsi e non glielo ha ordinato il suo virologo di fiducia. Se molli la regione per il Campidoglio, fai votare tutto assieme. Ma devi essere serio. E non è casuale che sul tema lui e Letta mandino avanti il killer preferito, l’ex ministro Francesco Boccia. «La legge non vieta di votare dopo». Certo, ma c’è un etica da rispettare nel rapporto con gli elettori e anche con gli avversari politici. Il governatore ha paura perché se Giuseppe Conte non riesce a togliergli di mezzo Virginia Raggi, non può fare la campagna elettorale contro di lei offrendo come gli chiedono la presidenza della Regione alla grillina Lombardi.
Insomma, un casino autentico perché Zingaretti scappa e perché il Pd è a un passo dalla tomba. Lo prova l’evidente nervosismo che si registra. Appena Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, ha accennato alla vergogna delle elezioni differite, al Nazareno sono insorti con dichiarazioni di fuoco contro l’esponente azzurro. Anche perché speravano in una rottura vera nel centrodestra, quelli del Pd. Ma l’annuncio di Salvini sulla convocazione della coalizione per le candidature ha contribuito ad alzare la temperatura a sinistra. E hanno cominciato a chiedersi: «E se perdiamo pure con Nicola?». Ed è lo stesso Enrico Letta a non stare, di nuovo, più sereno...