braccio di ferro
Spunta il coprifuoco light, il piano di Draghi sulle riaperture. Guerra in vista, Salvini: con questi dati via il divieto
Riaperture sì, «ma con la testa», perché vanificare i sacrifici, invertendo il trend del calo dei contagi e dei morti sarebbe un errore imperdonabile. Da Porto, dove è arrivato per il Social Summit Ue, Mario Draghi frena l’offensiva di Matteo Salvini, che ieri ha annunciato che al primo Cdm utile la Lega chiederà di cancellare il coprifuoco. E che oggi ha rilanciato: «Anche oggi 17.394 guariti e 532 dimessi dagli ospedali, di cui 42 dalle terapie intensive. Questa settimana chi potrà dire no a #riaperture e #nocoprifuoco?», ha twittato il leader leghista.
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Alla domanda se la spunterà, o meglio se il coprifuoco verrà ’sbianchettato', il presidente del Consiglio risponde partendo dai numeri, come è solito fare, per spiegare che bisogna procedere per gradi. «Io, come credo la maggior parte degli italiani - dice Draghi, protagonista di un simpatico siparietto con un pavone che si aggirava nella splendida cornice di Palacio de Cristal - voglio riaprire, voglio che le persone tornino fuori a lavorare, a divertirsi, a stare insieme. Ma, come ho detto l’altra volta quando abbiamo parlato di questo, bisogna farlo in sicurezza, cioè calcolando bene il rischio che si corre».
I dati, chiarisce, «sono abbastanza incoraggianti», sia sul fronte delle vaccinazioni che dei ricoveri, delle terapie intensive e delle vittime. «Questo è anche, ovviamente, merito delle misure già intraprese - rimarca -. Quindi se l’andamento dovesse continuare in questa direzione, chiaramente la cabina di regia procederà ad altre riaperture». «È importante essere graduali anche per capire quali
riaperture hanno più effetto sui contagi e quali meno. Noi aspettiamo per dirvi ancora l’importanza di fare queste cose con attenzione, prudenza e gradualità. Farle sì, ma essere prudenti».
Parole chiare, che già anticipano che alla cabina di regia - che dovrebbe tenersi tra martedì e mercoledì e su cui si profila già un duro braccio di ferro - non ci sarà alcun ’liberi tutti'. Con ogni probabilità, si procederà step by step anche col coprifuoco, spostando avanti le lancette di un’ora o due, almeno per il momento. Intanto però il premier porta avanti un’altra battaglia, caldeggiata in sede europea, alle assise di Porto: quella per il green pass, vale a dire il lasciapassare agli spostamenti per mettere le ali - è la speranza - a uno dei settori più bersagliati dalla crisi innescata dal Covid, il turismo.
Mentre in Italia i ministri degli Affari esteri e della Salute, Luigi Di Maio e Roberto Speranza, si incontrano per lavorare insieme al superamento della ’mini quarantena' per chi arriva da altri Paesi Europei -ma anche da Regno Unito, Israele e Usa- il presidente del Consiglio fa sentire la propria voce al vertice dei leader Ue, chiedendo un’accelerazione, decisa e definitiva, sul green certificate. Già la settimana scorsa - alla conferenza seguita alla riunione ministeriale del G20 Turismo - Draghi aveva annunciato che l’Italia intanto farà da sola, a metà maggio sarà pronta a riaprire al mondo cancellando i 5 giorni di quarantena per chi è munito di tampone negativo, di un attestato di avvenuta e completa vaccinazione o guarito dal Covid negli ultimi sei mesi.
Ma sa bene, il premier, che muoversi all’unisono, tutti insieme in Europa, è un valore aggiunto per non rischiare una babele che potrebbe trasformarsi in un potenziale ostacolo per le prenotazioni. «Aspettiamo la riapertura della stagione turistica. Ecco questa è un’altra cosa importante che è successa in questo Consiglio Europeo - spiega - È stata chiesto con molta enfasi da parte nostra che la Commissione e il Parlamento europeo procedano con la massima rapidità alla definizione del Green Certificates per avere un modello europeo su cui confrontarsi e su cui disegnare le politiche turistiche. Perché se ogni Paese ha il suo certificato e attua misure diverse, per quanto riguarda il turismo ci sarà una gran confusione».
Un impegno nella direzione caldeggiata dall’Italia arriva dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen. «Il lavoro legale e tecnico per il ’certificato verdè - spiega al termine del Consiglio informale Ue e del vertice con l’India - è sulla buona strada affinché il sistema sia operativo a giugno. Inoltre, grazie anche all’eccellente lavoro della presidenza portoghese al Consiglio europeo, ci sarà un accordo politico su questo entro la fine di questo maggio», annuncia.
Un risultato, quello incassato da Draghi a Porto, che vale ben 11,2 miliardi di euro per il turismo italiano, in termini di alloggi, alimentazione, trasporti, divertimenti, shopping e souvenir. A far di conto è Coldiretti sulla base di dati Bankitalia. Per il green pass è arrivato il momento di accelerare. Il premier, in conferenza stampa, torna anche sul tema vaccini, dopo la posizione assunta ieri -sulla svolta di Joe Biden- alla cena tra i leader Ue. Una mossa, quella del presidente degli States, che per Draghi «deve ancora essere capita nella sua completezza, ma credo che venga da una constatazione: ci sono milioni di persone che non hanno accesso ai vaccini, o per mancanza di distribuzione o per mancanza di denaro per poterli comprare, che stanno morendo. Ci sono le grandi case farmaceutiche che producono questi vaccini che hanno avuto delle sovvenzioni governative imponenti, quindi in un certo senso si potrebbe spiegare semplicemente dicendo che ci si aspetta qualcosa in cambio da queste case farmaceutiche. Peraltro un’applicazione temporanea, circoscritta, non dovrebbe costituire - questo me lo dicono gli esperti - un grande disincentivo alla produzione. Perché questo è quello che tutti temono, che costituisca un disincentivo alla ricerca e alla produzione di altri gli altri vaccini», mette in chiaro Draghi.
Ma la questione è molto più complicata di quel che appare. «Prima di tutto il fatto di liberalizzare il brevetto, sia pur temporaneamente, non garantisce la produzione dei vaccini. La produzione di questi vaccini è molto complessa: richiede tecnologia, specializzazione, organizzazione. Secondo: questa produzione deve essere sicura. La liberalizzazione dei brevetti non garantisce questa sicurezza». Per questo, per Draghi, «prima di arrivare alla liberalizzazione dei vaccini bisognerebbe fare altre cose più semplici tipo, per esempio, rimuovere il blocco alle esportazioni che oggi gli Stati Uniti, per primi, e il Regno Unito continuano a mantenere. Tenete presente che l’Unione Europea - sono dati di oggi - esporta tanto quanto ha dato ai suoi cittadini, cioè il 50% della produzione dell’Unione è andato al Canada, agli Stati Uniti, al Regno Unito, a mercati che - il Canada non credo - hanno il blocco alle esportazioni. Quindi questa direi che è la prima cosa che bisogna fare».
«La seconda è accelerare la produzione» attraverso «il trasferimento tecnologico, attraverso l’individuazione di nuovi siti. Noi stiamo facendo tutto questo. Resta il problema che questo va fatto nei Paesi e verso i Paesi i cui abitanti stanno morendo perché non hanno accesso ai vaccini e non hanno denaro. Ci sono vari programmi - se pensate al Covax - di aiuto finanziario a questi Paesi, ma sono a un livello assolutamente insufficienti. Quindi il vantaggio, il merito di questa proposta, è aver aperto una porta. E mi pare che su questo il Consiglio Europeo sia abbastanza unanime. Questa è una porta aperta, vediamo che cosa significa, poi lo considereremo e decideremo. C’è ovviamente chi protegge di più la "sacralità" del brevetto e c’è chi invece è più aperto su questo, ma di più non c’è. C’è semplicemente il consenso sull’andare avanti».