caos concertone

Che ipocrisia, Conte s'iscrive a Forza Fedez

Carlantonio Solimene

Bastano tre minuti in prima serata su Rai Tre per mettere a nudo tutte le falle di un sistema - quello che lega i partiti alla televisione pubblica - e per chiudere nella maniera peggiore possibile l’esperienza dell’attuale classe dirigente di viale Mazzini. Tutto quello che va in scena nelle ore successive all’intervento di Fedez al «Concertone» contro la Lega e a favore del Ddl Zan è annoverabile alla fiera dell’ipocrisia. Con partiti che mettono alla berlina dirigenti che loro stessi hanno scelto, dipendenti che si scagliano contro i propri superiori, corsa allo scaricabarile. In una parola, un disastro.

I partiti, si diceva. Il primo a prendere la parola è Enrico Letta, segretario del Pd. «Ci aspettiamo parole chiare dalla Rai, di scuse e di chiarimento» dice il segretario Dem. Che sembra però sorvolare sul fatto che il patatrac sia accaduto su Rai Tre - rete storicamente vicina agli ex Pci - e che la protagonista, la vicedirettrice di rete Ilaria Capitani, altro non sia che l’ex portavoce di Walter Veltroni fino a una quindicina di anni fa. Poi tocca all’ex premier Giuseppe Conte tuonare: «Io sto con Fedez, nessuna censura». Per poi lanciarsi in una proposta di riforma della tv pubblica basata sulla creazione di una fondazione indipendente dai partiti. Belle parole, se non fosse che in 900 giorni a Palazzo Chigi l’«avvocato del popolo» non abbia mai accennato alla necessità di cambiare la governance della tv pubblica e che, invece, abbia partecipato da regista alla nomina dei vertici ora contestati.

  

 

 

 

Ondivaga anche la linea di Matteo Salvini, che parla di «polemica tutta interna alla sinistra» e si aspetta «che qualcuno paghi e si dimetta», ma sembra dimenticare come ad aprire il caso siano state anche le sue parole di sabato pomeriggio («il "concertone" costa circa 500.000 euro agli italiani, a tutti gli italiani, quindi i comizi "de sinistra" sarebbero fuori luogo») e che, esattamente come Conte, anche la Lega sia responsabile degli attuali vertici della Rai. Lo spettacolo, insomma, è sconfortante. Con Giorgia Meloni e Forza Italia che restano tutto sommato fuori dalla polemica e ne approfittano solo per ribadire il rammarico «perché si è persa un’occasione preziosa per parlare di lavoro» (la leader di Fratelli d’Italia) e per augurarsi che «la libertà di espressione valga anche per chi vuole criticare il ddl Zan» (l’azzurro Roberto Occhiuto).

Ma se la politica non dà una bella prova di sé, lo scenario che si presenta a viale Mazzini è se possibile ancora più disastrato. Nel pomeriggio di ieri è l’ad Fabrizio Salini a tentare di ricomporre il quadro: «Fedez non è stato censurato e in Rai non esiste alcun sistema» dice il manager in scadenza. Ma, forse proprio per il suo imminente addio, il tentativo dell’ad di serrare le fila fallisce. Alle 14 su Rai Tre va in onda Lucia Annunziata è attacca frontalmente l’azienda: «Le scuse di Salini non bastano. Sono d’accordo con quanto ha detto Fedez, nella Rai non può esistere un sistema a cui adeguarsi». Assordante il silenzio del direttore di Rai Tre Franco Di Mare, nel frattempo convocato per chiarire dalla Commissione di Vigilanza. Ma a parlare è la compagna di Di Mare, tale Giulia Berdini, che da Instragram si scaglia contro Fedez definito «nullità del mainstream» salvo poi provare a correggere il tiro limitandosi a definire «errato» il contesto scelto dal cantante per il suo discorso. In quanto a Marcello Foa, dall’ufficio del presidente viene fatto filtrare che «la nota inizialmente diffusa dalla Rai su Fedez e il Concerto del Primo maggio non era stata sottoposta preventivamente all’approvazione del presidente Foa come di consueto». Come a dire: non venite a chiedere a me.

 

 

 

Il quadro che ne scaturisce è desolante. C’è una dirigenza al passo d’addio che sperava di congedarsi in maniera meno turbolenta (Salini), c’è chi sperava di essere confermato ed ora è quasi sicuro di non esserlo più (Di Mare) e c’è, infine, una politica che promette riforme ben sapendo che, nei prossimi mesi, le tappe obbligate del Recovery Plan faranno scivolare la governance Rai tra i temi meno urgenti. Nel frattempo arriverà il nuovo giro di nomine e l’onda moralizzatrice di questo weekend sarà dimenticata da chi farà carte false pur di partecipare alla spartizione. Le polemiche passano, le poltrone no.