Doppi incarichi di governo, il gran ballo delle nomine agita Palazzo Chigi
Il gran ballo delle nomine tocca anche Palazzo Chigi. Anche se in realtà è un balletto. Questa volta non ci sono in palio posti nelle grandi aziende di Stato ma incarichi negli uffici nevralgici della cabina di comando dell'esecutivo. Già, nei corridoi del potere si lamenta una certa insofferenza per le procedure di assegnazione dei posti negli uffici di vertice. Ecco perché. In teoria per ogni capo che esce, per pensionamento o alto, dovrebbe partire una procedura chiamata interpello e cioè una richiesta a tutti gli interessati in possesso dei requisiti a inviare la candidatura.
Nell'attesa però, e per assicurare la continuità amministrativa, la responsabilità viene affidata con un «interim» a un dirigente anche privo di competenze specifiche. Per il designato è sufficiente coordinare la gestione ordinaria in attesa del nuovo direttore. Il cui arrivo però non dovrebbe prolungarsi per un tempo indefinito. Fin qui nulla da eccepire. Ma gli spifferi di corridoio raccontano di una prassi ormai invalsa che lascia il nominato a interim per un tempo molto lungo, che consente allo stesso di impratichirsi nel nuovo settore occupato temporaneamente.
Così, quando la procedura di interpello viene finalmente avviata, il più titolato a occupare il posto è per forza di cose proprio colui che lo ha retto nella fase di interim. Una pratica assolutamente legittima ma poco opportuna perché, segnalano sempre i rumors, viene bloccata la fase di ricambio dei direttori generali visto che, su due dipartimenti per un tempo non corto come dovrebbe essere, regna solo un capo. Ma a essere depotenziata è anche l'efficacia dell'azione amministrativa perché per assegnare i posti scoperti con incarico temporaneo non servono particolari qualificazioni ma solo un atto del segretario generale di Palazzo Chigi, in questo caso Roberto Chieppa rimasto al suo posto con il governo Draghi dopo aver passato immune nella stessa carica i due governi di Conte.
La prassi dei doppi incarichi è talmente radicata che si verifica anche senza bisogno di assegnare interim. Come nel caso di Sabrina Bono che oltre a essere vicesegretario generale di Palazzo Chigi è anche capo dell'ufficio per l'attuazione del programma, e ancora Paola d'Avena, anche lei vice segretario generale e contestualmente capo dell'ufficio segreteria del consiglio dei ministri. Ma la lista è lunga. Ovvi dunque i mal di pancia del corpo dirigenziale che ruota attorno al palazzo più ambito dai grandi commis di Stato, molti dei quali vedono preclusa la possibilità di dirigere un ufficio quando contestualmente c'è chi ne dirige due.
Non solo. A ridurre lo spazio a disposizione per le loro carriere anche la temutissima norma che il ministro della Pa, Renato Brunetta, spinge per far approvare e che prevede la possibilità di alzare al 20%, dall'attuale 10, la quota di personale esterno alla Pa cui affidare incarichi dirigenziali. Un tema di discussione nelle stanze dei grandi poteri dello Stato alle prese anche con altri dossier spinosi. In particolare la non facile scalata di Alessandra Dal Verme alla poltrona di direttore dell'Agenzia del Demanio. Per la Dal Verme, che vanta un invidiabile curriculum al ministero del Tesoro, la proposta per la sua designazione nel nuovo posto è arrivata con una recente decisione del consiglio dei ministri. L'iter è partito. Ora la domanda dovrà ottenere il parere della Conferenza Stato -Regioni e quello dei ministeri competenti. Ma le cause di incompatibilità rischiano di complicare la sua nomina. Tanto che il governo avrebbe chiesto sul punto un parere all'Avvocatura dello Stato ancora non reso pubblico.
A remare contro la dirigente la parentela con l'eurocommissario Paolo Gentiloni (è sua co gnata) e il fatto che il Demanio gestirà parte dei fondi del Green Deal, il programma europeo per la riqualificazione energetica. Tra le incompatibilità previste per i commissari europei, c'è infatti quella di avere parenti o affini nei Paesi membri dell'Unione Europea che gestiscono investimenti e risorse che hanno a che fare con i fondi comunitari. Non solo. Le norme della dirigenza pubblica impediscono ai dirigenti delle amministazioni vigilanti di avere incarichi operativi negli enti vigilati. Situazione certa nel caso della Dal Verme che proviene dal Mef che controlla l'operato proprio del Demanio. Insomma partita aperta e tutta da giocare per questa poltrona che apre, a suavolta, un altro capitolo.
Quella dell'attuale direttore della stessa agenzia: Antonio Agostini, che dovrebbe lasciarle il posto dopo solo un anno e mezzo di lavoro. Per lui, però, animo da autentico civil servant, con un passato nel settore della sicurezza nazionale e con esperienze in affari strategici, si aprirebbe una nuova partita professionale. Per competenze e curriculum potrebbe essere uno dei nomi in lizza per la partita delle nomine, in ballo circa 500 posti tra vertici e organi consiliari, già virtualmente iniziata ma ancora a livello di contatti tra partiti.