il retroscena
Recovery, Mario Draghi delude anche l'Europa. Caos sulle nomine del premier
caro direttore, nelle 319 pagine del Recovery Plan manca il fuoco dei Draghi. Quell'idea «illuminata» destinata a passare alla storia come il simbolo di quest' epoca di guerra alla pandemia. Come fu con la Tour Eiffel in Francia, divenuta emblema nazionale, o da noi con l'Autostrada del Sole, icona del boom. Ora, l'opera simbolo della pandemia debellata dovrebbe collegare Berlino a Trapani, l'ultimo porto e aeroporto della Sicilia che si affaccia sul Mediterraneo: solo così riusciremmo a unire finalmente tutta la Penisola e l'Italia con l'Europa. Per farlo, occorrerebbe prolungare l'alta velocità fino alla Calabria e costruire, per poco più di quattro miliardi, il ponte sullo Stretto di Messina. Del resto ne11989, dopo la caduta del muro di Berlino, l'allora cancelliere tedesco Helmut Kohl nel corso di una cena a Bonn, per convincere Andreotti che la riunificazione tedesca era importante per l'Europa, gli disse: «Caro Giulio, immagina un grande corpo umano sulla cartina geografica che parte dalla Germania e finisce in Italia. La testa siamo metà voi e metà noi, il busto è la Germania e le gambe che affondano nel Mediterraneo sono l'Italia. Se a questo corpo togli le gambe non va da nessuna parte: ecco, questa è l'Unione europea». Fu dopo tale conversazione che Giulio Andreotti abbandonò la sua tesi «amo talmente la Germania che ne preferisco due».
All'incontro era presente anche un testimone d'eccezione: l'allora ministro dell'agricoltura Caloge Caro Mannino, inossidabile galantuomo siciliano. Del resto, il compito che gli alleati nel Dopoguerra affidarono all'Italia, favorendo così la nascita della Dc, era proprio questo: fare da ponte tra gli Stati Uniti e la Germania. Non a caso lì avevano, ed hanno ancora, la Cdu. Questa è la strada che Draghi potrebbe riprendere per entrare nell'Olimpo dei grandi statisti della Repubblica Italiana: il ponte da ricostruire, il filo spezzato nel 1994 e mai più riannodato. La storia ci insegna che la tattica senza la strategia è il rumore della sconfitta. Invece con questo Pnrr, che delude la UE, rischiamo di rivivere il déjà vu dell'assalto alla diligenza per portare finanziamenti, troppo spesso fini a sé stessi, ai territori.
Con il Recovery Plan questa tendenza è amplificata dall'eccezionale disponibilità delle risorse e dall'ostinazione a inseguire la benevolenza del solo commissario europeo Paolo Gentiloni, nominandogli come gabinetto di palazzo Chigi il suo «prezzemolino» Antonio Funiciello, già in tensione con il segretario generale Roberto Chieppa. E, come se non bastasse, ancora con la designazione a capo dell'Agenzia del Demanio della stessa cognata di Gentiloni, Alessandra Dal Verme, senza portarla neppure in discus sione in Consiglio dove monta ormai il malumore dei Ministri. Dopo le interrogazioni parlamentari e il faro acceso da parte della Corte dei Conti, Maria Stella Gelmini faticherà non poco a far passare questo incarico con il parere vincolante della Conferenza unificata Stato-Regioni, proprio per il lampante conflitto di interesse che impedisce ai congiunti dei commissari europei investiture in strutture collegate al Recovery Plan.
Un gran pasticcio come quello in corso all'ex Ilva di Taranto, dove un caro ami co di Draghi, l'ex boiardo di tutte le stagioni Franco Bernabè, è già ai ferri corti con la tostissima Ad, Lucia Morselli; lo stesso dicasi per Francesco Caio, promosso in Saipem, il quale troverà le barricate dei manager interni che non lo hanno apprezzato come presidente. Non solo onori ma anche oneri, dunque, per Super Mario il quale, per tenere tutti zitti e buoni, virologi, gesuiti e politici di ogni tipo, sta continuando con l'insensata linea della coppia scoppiata Conte -Gualtieri, con un bel menu doroteo-cencelliano che comprende, a titolo esemplificativo, 160 milioni per lo «sviluppo della capacità degli operatori della cultura per gestire la transizione digitale». Rispetto al Pnrr che fu di Conte e su cui Matteo Renzi fece cadere il Governo, ci sono più tabelle ma restano purtroppo interventi di mini ma taglia messi solo in bella copia dal fedele ministro Daniele Franco che, non a caso, in Banca d'Italia avevano soprannominato «il grigio». Nulla di nuovo sotto il sole. Di questo passo, il rating del Premier rischia il declassamento da Super Mario a semplicemente Mario.