da salvini a speranza
Draghi sta imparando la politica. Decide lui dando ragione a tutti
Se non si chiamasse Mario Draghi e avesse la sua lunga storia alle spalle, il premier italiano potrebbe sembrare il figlio prediletto di Gianni Letta. Gli assomiglia molto, e ha quello stile inconfondibile: bravissimo (ancora non come il Maestro) a smussare gli angoli, geniale nel dare ragione a qualsiasi interlocutore abbia di fronte, soprattutto quelli politici che qualche occhio critico potrebbero avere nei suoi confronti. E a forza di offrire quell’impressione all’interlocutore di avergli dato ragione (anche quando non è così), libera davanti a sé una strada che sembrava chiusa, impossibile da attraversare.
Lo si è capito bene ieri in conferenza stampa, quando è riuscito a dare l’impressione di averla data vinta sia a Roberto Speranza che a Matteo Salvini, all'uomo delle “chiusure senza se e senza ma” e a quello del “si riapre comunque”. Sembrava già un miracolo tenerli insieme in un qualsiasi governo, lo è senza dubbio riuscire a farli felici entrambi. E infatti ieri Draghi ha potuto annunciare e quasi titolare la conferenza stampa con «Si riapre», dando l’impressione di una porta spalancata avendone invece semplicemente tolto la doppia mandata alla serratura e - volendo essere generosi - fatto filtrare un lampo di luce dallo stipite.
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Bisogna essere abili per fare così, e il premier sta dimostrando di esserlo come fosse cresciuto alla scuola di chi è parte fondamentale della storia di questo giornale: mai ideologico, mai arroccato su posizioni da cui poi diventa difficile smarcarsi, sempre cortese e comprensivo con chi ha davanti. Gli riesce perfino davanti a giornalisti che fanno domande strampalate o fastidiose, a cui non si sottrae mai cercando di rispondere in modo esauriente. Non solo è bravo in questo, ma si vede che il nuovo mestiere comincia a piacergli: nella parte si è calato alla perfezione, e ogni tanto gli scappa pure la mano come avesse lì ancora Rocco Casalino a suggerirgli l’uscita che fa titolo, lo slogan giusto per amplificare anche una piccola cosa. Qualche sbavatura che al Maestro non sarebbe capitata, ma non tutto si impara di colpo.
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Ma vediamo i contenuti degli annunci di ieri. L’anno scorso dopo il lockdown l’Italia riaprì tutta fuorché la scuola a metà maggio, senza più limiti né alcun coprifuoco. La libertà di movimento sul territorio nazionale era assoluta, quella al di fuori dei confini sarebbe stata man mano conquistata entro la fine di giugno. La curva del virus cominciò a scendere fino ad arrivare ai livelli minimi non appena la temperatura stabilmente si alzò e così imparammo che con il caldo le goccioline del virus evaporavano e i contagi sparivano, tanto è che anche qualche scienziato con meno prudenza degli altri celebrò la fine della pandemia. Anche quest’anno la stagione calda si sta avvicinando. E si va verso le riaperture, come annunciato ieri. Addirittura dal 26 aprile, tre settimane prima dell’anno scorso. Certo, abbiamo a ieri sera 14 milioni di dosi di vaccino somministrate, e l’anno scorso non c’erano.
Ma «Si riapre» è una parola grossa: si potrà andare al ristorante o al bar a pranzo in zona gialla (che ritorna) come per altro avveniva fino a quando non è arrivato Draghi a Palazzo Chigi. Ma questa volta solo all’aperto. Pure la sera, ma resta il coprifuoco che al momento è alle 22 e consentirebbe poche libagioni. Si torna tutti a scuola in zona gialla e arancione al chiuso, e questa è idea meno buona perché quello è rischio grande per i contagi. In fascia gialla si potrà andare con limitazioni ancora non chiarite al cinema, al teatro o al museo. Qualche sport all'aperto si potrà praticare, anche il calcetto. Poi ci si potrà spostare in tutte le Regioni, anche quelle rosse, se in possesso del pass vaccinale (che nemmeno l’Europa se l’è sentita di imporre come condizione per i viaggi). Dal 15 maggio riaprono anche le piscine allìaperto, che tanto in due terzi di Italia non saranno frequentate da nessuno a meno che abbiano la muta per calarsi in acque gelide. Dal primo giugno i ristoranti possono accogliere anche clienti al chiuso, e riaprono pure le palestre. Da luglio le terme e pure i parchi tematici con molte limitazioni.
Insomma apre pochino prima dell’anno scorso, ma dal 15 maggio in poi l’Italia sarà assai più chiusa di quello che non fu dopo il primo lockdown. Draghi così consente sia a Salvini che a Speranza di dire «Passa la linea mia!», perché in effetti passa un po’ l’una e un po’ l’altra. È un arte. Che Draghi ha sfoderato anche in una seconda parte della sua conferenza stampa: quando ha annunciato di avere sbloccato ben 57 opere pubbliche avendo firmato insieme al ministro Enrico Giovannini la nomina di «57 commissari», facendo esultare chi criticava il governo precedente per scarsa timidezza nell’apertura dei cantieri. In realtà i commissari sono 29 per 57 opere, e gli uni e le altre sono la fotocopia di quelle sbloccate da Giuseppe Conte il 20 gennaio scorso con suo Dpcm. Siccome il governo poi cadde senza dare il tempo alle commissioni parlamentari di fornire il parere obbligatorio, ora si ricomincia da capo. Senza però dare un dispiacere al M5s, visto che gli uomini e le opere scelte sono gli stessi voluti dal loro leader Conte. Anche questa volta Draghi ha accontentato con il minimo sforzo sia il bianco che il nero. Ci vuole arte.