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I nostri ristoranti svenduti ai giganti del delivery. Paragone: è l'effetto degli errori di Conte e Draghi
L'operazione ormai è partita. Un vero e proprio attacco alla filiera della ristorazione italiana piegata dalla pandemia ma anche da tutte le chiusure e le vere e proprie persecuzioni subite fin dai primi provvedimenti di chiusura del governo di Conte e purtroppo continuate.
Il mercato in questi mesi oltre a creare gli spazi a favore del riciclaggio di denaro da parte delle mafie, è stato terra di conquista di grandi operazioni a basso rischio da parte delle multinazionali e dei grandi gruppi operanti nel food. I ristoratori chiudono perché non stanno più in piedi? Ecco che arrivano queste società di food delivery e si appropriano di un mercato non più presidiato. Usano le cucine dando un minimo di commissione (dal 25 al 35 per cento) e avviano un’attività di franchising di proprietà di queste piattaforme che operano con rischio quasi zero: conoscono le tendenze dei consumatori (attraverso i dati raccolti) e approfittando della crisi di liquidità dei ristoratori si portano via il pacchetto con quattro euri.
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I ristoratori rischiano così di essere le prossime vittime del grande gioco: con i piccoli out, i grossi entrano, sottopagano i lavoratori della cucina, i quali si limiteranno a sfornare i piatti da consegnare secondo i gusti già noti. Massimo profitto, minimo sforzo. In gergo questo fenomeno si chiama dark kitchen e deprederà un pezzo della tradizione italiana.
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Complimenti, cari governanti. Perché il ko della filiera più rilevante del made in Italy, uno degli assi portanti del turismo è soprattutto colpa vostra. Sono state le vostre decisioni ingiustificate e scientificamente non motivate a mettere tutti per terra con danni ormai irreparabili. Consentire di tenere aperto solo a pranzo in zona gialla è stata una concessione che rasentava l’ipocrisia: durante la settimana, con gli uffici chiusi per smart working, l’incasso non poteva recuperare alcuna sofferenza. Qualcosa in più si poteva fare il sabato e la domenica, ma se le distanze tra i tavoli davvero debbono restare quelle di due metri, significa che i coperti disponibili si ridurranno enormemente. E comunque un’attività non sta in piedi solo con l’incasso del fine settimana.
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Conte prima e Draghi ora, sono arrivati con proposte in ritardo rispetto alle urgenze del momento: anche parlare adesso di semplice recupero dei ristori significa non avere capito che un numero importante di attività stanno per chiudere e che il mero parziale risarcimento del danno non risolve, al massimo consola. C’è quasi da pensare che la lenta agonia del settore sia stata una scelta quasi consapevole da parte del governo italiano che sia prima che dopo si è limitato ad assistere alla caduta di chi è piccolo, lasciandolo nelle mani di banche disperate, di un’Agenzia delle Entrate o di altre agenzie di riscossione ciecamente ostili, e infine di una burocrazia fanatica che, come nel caso del Durc, accelera la fine di quelle attività.
Il rischio come abbiamo detto è che sia troppo tardi, ma anche ora per salvare il salvabile il governo deve decidere se politicamente vuole la salvezza o la morte di queste attività: se ne vuole la salvezza dovrà intervenire con liquidità e il reset delle sofferenze. Se invece ne vogliono la morte ci stanno riuscendo. Ma dovranno spiegare agli italiani perché i piccoli devono soccombere mentre i grandi si rafforzano.
Prendete Autostrade: eravamo partiti dalla revoca delle concessioni ai Benetton e stiamo arrivando alla partecipazione a un’asta competitiva con Florentino Perez. Per non dire di quello che accadrà con Mps o Arcelor Mittal su Ilva.
Altrimenti la strada è una sola: riaprire. Riaprire è quello che chiedono gli operatori della ristorazione, delle palestre, del commercio (anche quello ambulante nei mercati all’aperto la cui chiusura è davvero un assurdo), dei cinema, dei teatri, dei musei. Riaprire è quello che rivendicano alcuni pezzi della stessa maggioranza che fino a pochi mesi fa urlavano dai banchi dell’opposizione accuse pesanti verso il ministro Roberto Speranza. Che ora è anche il loro ministro. Riaprire è quel che il governo comincerà progressivamente a concedere, ma in dosi assolutamente omeopatiche e con restrizioni che di fatto non consentiranno di fare cassa e salvare la filiera dalle mani di chi se ne sta appropriando.