divorzio
Casaleggio chiede il saldo dei debiti. M5s-Rousseau, ora c'è l'ultimatum
Per Rousseau è arrivato il «punto di non ritorno» con il Movimento 5 Stelle. La rottura è molto più vicina di quello che si credesse, perché ora c’è addirittura una «data ultima»: il 22 aprile. È quella indicata dall’associazione guidata da Davide Casaleggio, entro la quale attenderà che siano saldati i debiti. Dopodiché «saremo costretti a immaginare per Rousseau un percorso diverso, lontano da chi non rispetta gli accordi e vicino, invece, a chi vuole creare un impatto positivo sul mondo».
Il j’accuse è durissimo: «Da gennaio 2020 il Movimento, attraverso alcuni dei suoi portavoce, ha iniziato a non onorare gli accordi in relazione alle attività erogate a Rousseau omettendo di mettere in atto qualsivoglia presidio funzionale a garantire il rispetto delle regole e degli impegni presi». Finora da fonti parlamentari è emerso che la cifra richiesta dall’associazione si aggira sui 450mila euro, anche se chi ha praticità con i numeri nel Cinquestelle dice che in realtà sia molto inferiore, perché da Milano «calcolano anche le quote di chi ha lasciato i gruppi o è stato espulso».
Il timore che aleggia da mesi nel M5S è che a sciogliere il nodo potrebbe essere un giudice civile, perché lo spettro delle carte bollate non è scongiurato. Nemmeno ora che a capo del Movimento arriverà Giuseppe Conte, che al suo attivo non ha solo l’esperienza di premier, ma soprattutto la sua conoscenza giuridica come avvocato. Spetterà a lui trovare l’intesa, anche se da Milano chiariscono subito l’antifona: «Oggi personalità importanti stanno decidendo se iscriversi o meno al M5S per dare il proprio contributo. Ci auguriamo che chiunque in futuro verrà scelto per guidare il Movimento saprà rappresentare a pieno il rispetto delle regole e degli impegni presi». Dunque, senza investitura della base, nemmeno Conte ha le carte in regola per negoziare.
Sul tasto della leadership batte parecchio Rousseau, puntualizzando che per loro Vito Crimi è «l’ex capo politico reggente» (avendo gli iscritti votato il nuovo Statuto che supera la figura, sostituita dal comitato direttivo) e l’ultimo «eletto democraticamente» (Luigi Di Maio) si è dimesso da 15 mesi. Però la richiesta è chiara: che fine ha fatto il discorso sul contratto di servizio, la cui bozza è stata presentata a Crimi, ma «non venne mai nemmeno discussa», nonostante «gli stessi iscritti chiesero con forza, con il voto degli Stati Generali, di concludere».
Ecco perché «è arrivato il tempo di prendere decisioni definitive», alza i toni l’associazione di Casaleggio jr. Che insiste: «È arrivato il tempo di eliminare ambiguità, rinvii e mancate scelte». Una grana che non ci voleva, insomma. Proprio mentre Conte si appresta a dare avvio al ciclo di incontri per definire il programma e la struttura del «neo Movimento», nel fine settimana, con due riunioni distinte assieme a deputati e senatori. E nel frattempo si avvicina il momento di un’altra svolta: la scelta della sede fisica, la prima della storia di una forza politica nata nel 2009, per mano di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, solo attraverso la Rete. Proprio per marcare la netta differenza con i partiti tradizionali. Novità che hanno dei costi, da coprire con il contributo degli eletti e (forse) l’accesso al 2x1000. Nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama si fanno i calcoli, la cifra potrebbe raggiungere anche quota 3mila euro. Ma prima i parlamentari vogliono sapere «questi soldi servono per fare cosa?». La palla passa a Conte.