Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Laura Boldrini, così fan tutti: schiavizzati gli assistenti dei parlamentari

Esplora:

Pietro De Leo
  • a
  • a
  • a

Partire dalle parole, innanzitutto, e usarle bene. «Non chiamateci portaborse, ma collaboratori parlamentari». A dirlo al Tempo è Josè De Falco, presidente dell'associazione che annovera 200 iscritti in questa categoria, tornata agli onori della cronaca politica con il caso di Laura Boldrini. E le rimostranze di una ormai sua ex collaboratrice nel Palazzo. Una storia di interruzione del rapporto del lavoro dopo una formula in smartworking negata dalla già Presidente della Camera. Ma tra le pieghe di tutto emerso che questa persona, oltre a supportare l'attività del Palazzo dell'ex Terza Carica dello Stato com' era nel suo ruolo, spesso veniva chiamata per fare altre cose, tipo prenotare il parrucchiere oppure ritirare i vestiti dal sarto.

«Era nei patti», ha provato a giustificarsi Laura Boldrini. «E invece non dovrebbe essere così», dice De Falco, con il quale abbiamo provato ad inquadrare la figura del collaboratore. Partendo da un presupposto: nessuna generalizzazione. Ci sono moltissimi rapporti professionali virtuosi tra il parlamentare e la persona di fiducia che lo aiuta nella sua attività da eletto. Ma ci sono anche delle anomalie, e dei rapporti di lavoro «che finiscono per comprendere anche la risposta ad esigenze personali. Questo è sbagliatissimo, perché lede alla dignità delle istituzioni oltreché a quella del professionista», spiega De Falco. L'antologia di questo comprende una casistica molto varia e sconfortante. «Abbiamo avu to dei casi di collaboratrici cui è stato chiesto di dedicarsi al "baby-sitting", poi c'un caso di un collaboratore incaricato anche del cambio d'abiti in albergo del "suo" parlamentare . In altri casi era stato proposto lo stesso schema contrattuale delle colf».

E poi ci sono stati casi, già emersi nella stampa, in cui il parlamentare aveva chiesto al collaboratore di restituirgli parte dei soldi che gli corrispondeva. E qui entriamo nell'anomalia tutta italiana. Che riguarda l'inquadramento economico del tutto. Funziona così: ogni parlamentare ha diritto ad un riconoscimento economico per lo svolgimento dell'incarico. Sono 3690 alla Camera e 4180 euro al Senato, ogni mese. Soltanto la metà va rendi contata, l'altra no. Sono soldi che andrebbero impiegati, appunto, per impegni di spesa relativi allo svolgimento della propria funzione. Dunque il pagamento della sala per un convegno, l'accesso a banche dati e, appunto, il reclutamento di collaboratori. E lì che si annida, quando accade, la stortura. Perché poi la formalizzazio ne del rapporto di lavoro, e anche il successivo pagamento, è questione che riguarda soltanto il parlamentare e il suo collaboratore. «Quelli più esperti, quando vanno a negoziare - prosegue De Falco - possono ottenere dei contratti dettagliati, con delle mansioni precise. Ma quelli meno esperti, a volte, pur di non "uscire dal giro" accettano di tutto».

Come si può superare questa situazione? Se ne parla da anni, guardando ai modelli degli altri Paesi e del Parla mento europeo, in cui si coinvolgono direttamente le istituzioni. A volte proprio nella genesi nel rapporto di lavoro (come al Parlamento europeo), a volte con delle variazioni. In Gran Bretagna, per esempio, a gestire i contratti dei collaboratori parlamentari è un ente indipendente che si occupa del trattamento economico dei deputati. In Germania il rapporto tra parlamentare e collaboratore è di diritto privato, ma poi paga il Bundestag, a cui va consegnato il contratto. «Trovare formule di questo tipo aiuterebbe anche a reclutare del personale altamente qualificato», ragiona De Falco, che osserva: «Adesso è il momento della riforma, rendendola contestuale al taglio dei parlamentari che entrerà in vigore la prossima legislatura.

Basterebbe veramente poco, qualche ora di riunione degli uffici di presidenza di Camera e Senato, come avvenuto per i vitalizi». Pere) la legislatura ha scavallato il metà cammino, «avevamo parlato del cambiamento con Roberto Fico, così come con la stessa Laura Boldrini la scorsa legislatura, ma al momento non se n'è fatto nulla». Una materia da riordinare, dunque, considerando che non c'nemmeno un numero preci sodi quanti siano i collaboratori. Sempre De Falco spiega che una mappatura vera e propria non c'è e che indicativamente per la Camera si parla di 612 contratti, se si esclude consulenze di breve durata, quelli continuativi sono 315. Del Senato non si sa nulla. «Non si può aspettare oltre, ne va del bene delle istituzioni democratiche».

Dai blog