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Addio ai furbetti dello smart working. Le nuove regole per gli uffici pubblici

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Gaetano Mineo
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Niente smart working per i «furbetti» che stanno a casa sul divano invece di lavorare. O ancor peggio, per quei dipendenti che spengono addirittura i computer per andare a fare shopping. Inizia a delinearsi il «nuovo» lavoro agile nella pubblica amministrazione. Il ministro Renato Brunetta non vuole più vedere uffici con i cartelli «chiusi per smart working». E così il titolare della Pubblica amministrazione è a lavoro per dar vita a una normativa che regoli il lavoro agile in Italia.

 

Una norma che si regge su un pilastro principale: niente smart working per quell’ufficio che creerà disservizi ai cittadini. Il che vuol dire che non sarà «imbrigliato in percentuali» ma «deve essere nei contratti e sulla base delle esigenze» per dirla con Brunetta. In sostanza, «se un’azienda ha bisogno del lavoro a distanza se lo organizza, altrimenti no».

 

Negli ultimi dodici mesi lo smart working è stato prorogato più volte. Fino al prossimo 30 aprile 2021, non ci sarà infatti bisogno di un accordo tra l’ente pubblico e il lavoratore statale per stabilire la modalità del lavoro a domicilio, in quanto resterà in vigore il cosiddetto decreto Dadone che fissa al 50% la quota minima di lavoratori pubblici da impiegare in modalità agile.

 

Tuttavia, il decreto in questione è legato allo stato di emergenza Coronavirus. Il che vuol dire, che qualora dovesse ulteriormente essere prorogato lo stato di emergenza – cosa più che probabile – il decreto Dadone continuerà a restare in vigore.

Intanto, lo smart working per la prima volta entra nel contratto dei dipendenti pubblici. La novità nasce dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, siglato lo scorso 10 marzo dal premier Mario Draghi e Brunetta e da Cgil, Cisl e Uil.

 

La contrattazione tra governo e sindacati sui contratti collettivi nazionali di lavoro del triennio 2019-21, in merito a lavoro agile, è in sostanza regolata dall’articolo 2 dello stesso Patto che punta a «una disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, concili le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle Pubbliche Amministrazioni, consentendo, ad un tempo, il miglioramento dei servizi pubblici e dell’equilibrio fra vita professionale e vita privata».

E tra i punti principali che dovranno regolare il lavoro a distanza, il diritto alla disconnessione, fasce di contattabilità, formazione specifica, protezione dei dati personali e permessi e assenze.

L’iter della nuova norma, frattanto, fa i primi passi. La commissione tecnica dell’Osservatorio nazionale del lavoro agile, continua a lavorare sui Piani organizzativi del lavoro agile (Pola). Una sorta di mappa del funzionamento dei vari uffici. Piano che però solo il 33,3% delle amministrazioni statali, su un totale di 162, hanno pubblicato entro la scadenza del 31 gennaio scorso fissata dal «Decreto Rilancio».

Il rapporto dovrebbe arrivare sulla scrivania di Brunetta più o meno a metà aprile. Da qui, il ministro dovrebbe disegnare il nuovo volto dello smart working che «deve essere serio, contrattato, libero, premiato, controllato». Di certo, su un punto sono d’accordo Brunetta e sindacati: lo smart working deve migliorare l’efficienza, la produttività e la soddisfazione dei cittadini e delle imprese destinatarie dei servizi offerti dalle amministrazioni. Quindi niente spazio a «furbetti» e «fannulloni». 

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