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Renzi non scolla il Pd dai 5Stelle. Le manovre segrete per il nuovo centro

M. G. Zelle
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«Non ci candideremo con i sovranisti né con i populisti»: è così che Matteo Renzi risponde, dal palco dell’Assemblea Nazionale di Italia Viva, a chi gli aveva chiesto con insistenza in queste settimane di affermare l’ancoraggio al centrosinistra del partito.

 

E se qualcuno ha pensato che queste parole significassero l’apertura di un nuovo dialogo con il Pd di Letta, ha forse fatto male i conti, dando per scontato ciò che scontato non lo è: la rottura del Pd con il Movimento Cinque Stelle.

Certo, la segreteria dem ha un nuovo volto riformista, ma la continuità con la linea politica di Zingaretti appare evidente nella scelta di Provenzano come vicesegretario: appartenente alla sinistra dura e pura e fautore dell’alleanza con i grillini. Tanto più che gli attacchi di questi giorni del neosegretario sono stati rivolti contro il facile bersaglio Matteo Salvini e mai contro il Movimento Cinque Stelle.

 

Il che, tradotto, vuol dire che Italia Viva, alle prossime amministrative, non solo non appoggerà candidati sostenuti dalla coalizione Pd-5 Stelle, ma potrebbe considerare il sostegno a figure moderate e liberali, anche di centrodestra. Un esempio potrebbe essere quello di Bologna, dove è in corsa l’ex ministro del Governo Renzi Galletti, sostenuto verosimilmente da Forza Italia e che potrebbe diventare un laboratorio del nuovo Centro.

Il segnale della strada tracciata da Renzi per la sua creatura, poi, è palese anche nella sfida che lancia alle forze politiche: «In questo Parlamento c’è una maggioranza garantista» dice. Ribadisce quanto la giustizia italiana sia malata ricordando la recente assoluzione di Descalzi, l’ad di Eni vittima di un’ingiusta gogna mediatica e giudiziaria. Ricorda poi la vicenda di Edoardo Rixi, il Viceministro leghista costretto a dimettersi a causa di un processo per peculato da cui qualche giorno fa è stato assolto e lo fa - sarà un caso? - proprio il giorno in cui Matteo Salvini si trova a Palermo per l’udienza preliminare del caso Open Arms.

 

Una mano tesa al centrodestra, quindi, e un aut aut al Pd sul tema della riforma del sistema giudiziario, per cui, va ripetendo ai suoi interlocutori l’ex Premier, stanno maturando i tempi.

«Il punto è quanto tempo ci mettiamo ad isolare i grillini e soprattutto se Letta si dimostra diverso da Zingaretti oppure no», pare fargli eco il sottosegretario alla Giustizia in quota Forza Italia Francesco Paolo Sisto.

Intanto, di fronte alla svolta centrista, i nostalgici del radicamento a sinistra si fanno sentire: il senatore Eugenio Comincini annuncia il rientro nel Pd e presto potrebbero seguirlo il collega Leonardo Grimani e il deputato Camillo D’Alessandro.

Abbandoni che non toccano particolarmente Renzi, le cui truppe parlamentari, ormai, non sono più determinanti, ma che fanno leccare i baffi ad Andrea Marcucci. Il capogruppo dem al Senato infatti, per ottenere una riconferma, ha bisogno di parlamentari amici. Tanto più che Enrico Letta nella giornata di ieri ha sferrato l’attacco ai due capigruppo ex renziani, proponendone la sostituzione con due donne.

La reazione di Base Riformista non è tardata ad arrivare: «Mi sfugge il nome della donna eletta capogruppo del Pd al Parlamento europeo al posto di Benifei», ha twittato l’ex sottosegretario Salvatore Margiotta.

«Per capire il carattere di Enrico non bisogna pensare al democristiano tipico, come Franceschini, con cui Renzi litiga e poi torna a parlarsi in nome della Realpolitik. Il suo carattere è molto più simile a quello di Prodi: porta rancore e non dimentica. I transfughi di Italia Viva sono scollati dalla realtà, se pensano di riavere un minimo di spazio», sussurra un big dem molto vicino al Segretario.

Nel Pd del Serenissimo, insomma, gli ex renziani, considerato anche il taglio del numero dei parlamentari, più che ricandidati, saranno verosimilmente epurati.

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