retroscena
Cartabia è la star del governo e punta al Quirinale
Caro direttore, zitti e buoni. Ministri già sull’orlo di una crisi di nervi per i modi elegantemente sbrigativi con cui il premier Draghi li tratta. Chissà se anche il responsabile del Mef, Daniele Franco fino ad oggi pervenuto solo per piazzare all’Agenzia del Demanio Alessandra Dal Verme, cognatina di Gentiloni, riceve lo stesso trattamento.
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Capitolo a parte per la nuova star dei palazzi del potere, la Guardasigilli Marta Cartabia, cocca prima di Giorgio Napolitano, attraverso i buoni uffici del professore Usa Joseph Weiler del quale ha amorevolmente tradotto i libri, per poi diventare con l’aiuto del fratello di Sabino Cassese, la preferita di Mattarella. I due, infatti, erano soliti trascorrere lunghe ore insieme nelle ovattate stanze della Consulta, dove avevano persino due appartamenti attigui. Prima donna a presiedere la Corte Costituzionale, oggi si muove già da futura primadonna presidente della Repubblica, con una scorta «First Class» che presidia persino i roof dei ristoranti dove ama intrattenersi a pranzo con le amiche.
Il suo nuovo status di capa di Stato in pectore è risultato evidente quando si è presentata alla Commissione Giustizia: al suo ingresso, come bravi scolaretti di fronte alla preside, tutti i parlamentari del Pd e di FI sono scattati in piedi all’unisono, cosa mai accaduta a Montecitorio; dietro di lei, un codazzo di collaboratori «yes woman» si è piazzato nei posti in prima fila, normalmente destinati ai deputati, come a rassicurarla sulle risposte e fungere da «gobbo televisivo».
Ancora nessuna posizione presa sull’annoso nodo della prescrizione: per il momento si lascia in vigore la controversa riforma Bonafede, contestata persino dal presidente della Corte di Cassazione, il quale aveva espresso tutta la sua preoccupazione nei confronti della novellata disciplina dell’ex ministro grillino. Il testo riformato, infatti, prevedendo lo stop della decorrenza dei termini della prescrizione nel processo penale dopo la sentenza di primo grado, sia in caso di assoluzione che di condanna, rischia di generare non solo processi sine die, ma anche un ulteriore carico di lavoro per i già congestionati uffici giudiziari.
Sulla riforma del Csm, poi, la soluzione prospettata dalla ministra vicina al mondo di CL è quantomeno discutibile. Secondo la Cartabia, basta portare la durata delle nomine a due anni. Nessun accenno allo strapotere delle correnti, come se il «sistema Palamara» non fosse mai esistito. Perfino il sottosegretario alla Giustizia in quota Forza Italia, Francesco Paolo Sisto, un vero leone quando difendeva Silvio Berlusconi, è diventato un agnellino accanto alla nuova stella rinunciando addirittura a portare avanti la storica battaglia del centrodestra sulla separazione delle carriere.
E ancora, su proposta della Cartabia, un decreto-legge sull’esame di abilitazione alla professione di avvocato in tempo di Covid che introduce una soluzione che, tuttavia, non sembra adatta a verificare l’effettiva idoneità dei candidati. In pratica, il tema scritto viene sostituito da una prova orale, che si aggiunge a quella già prevista. L’esaminando dovrà scegliere fra tre buste, tipo Rischiatutto, nelle quali sono contenute le tracce e avrà mezz’ora di tempo per esprimere il proprio parere orale. Quale avvocato, anche il più esperto, rilascerebbe mai al proprio cliente un parere giuridico in così breve tempo? Da Bonafede alla Cartabia, dunque, ministra né tecnica né politica, seppur apprezzata accademica, ma comunque senza nessuna esperienza giudiziaria, lontana dai riti del processo e poco avvezza alle reali problematiche di una Corte d’Appello: nel suo entourage ha peraltro coinvolto un altro professore, Gianluigi Gatta - anche lui appartenente, ça va sans dire, al «giro Corte Costituzionale», essendo legato al giudice milanese Francesco Vigano, designato da Mattarella - che però esattamente come la Guardasigilli, è un teorico dottrinario senza alcuna confidenza con i meccanismi della macchina giudiziaria.
Siamo realistici, neppure con questo Governo la giustizia, come ci chiede l’Europa, diventerà giusta. L’infornata di 22mila assunti è buona solo per alimentare il Recovery Plan. Continuerà, invece, in maniera sempre più invasiva, la giostra dei «trojan», nonostante la Corte di Giustizia Ue, riunita in Grande Sezione, abbia messo uno stop assoluto alle scorribande di Pm e investigatori. A decidere di entrare nelle «vite degli altri» dovrebbe essere infatti solo ed esclusivamente un giudice terzo: il famoso «ci sarà pure un giudice a Berlino» narrato da Bertold Brecht. Molti trojan, molto disonore.
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