Vieni avanti decretino. Sostegni, i 32 miliardi sono pochi e arrivano tardi
È arrivato con almeno due mesi di ritardo sui bisogni, e anche per questo inevitabilmente è diventato un decretino. Mario Draghi aveva un tetto di 32 miliardi da spendere, che sono sicuramente pochi in questo momento. Il piatto se l’è trovato servito in tavola così, e non è responsabilità sua.
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Ma dire a imprese e partite Iva che rimborsi una piccola parte del 50 per cento che hanno perduto fra Natale e fine febbraio nel «modo più rapido possibile», forse «entro fine aprile», è veramente piccola cosa. Anche perché quegli indennizzi arrivano con grande ritardo dopo un anno di continui ritardi. E proprio in un momento un cui gran parte di quei soggetti che non hanno avuto rimborsi per quel 50% perduto, stanno aumentando le loro perdite grazie alle zone rosse e alle chiusure. Non stiamo parlando certo di bazooka, per citare un termine che rese famoso Draghi quando era alla guida della Bce. E siamo anni luce lontani dall’elicopter money americano stanziato un anno fa da Donald Trump e oggi da Joe Biden.
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È pochino sapere che fino a maggio-giugno la gente non vedrà altri indennizzi non è confortante. Nei tempi e nelle quantità mi sembrano assai sottovalutate le esigenze di gran parte degli italiani che ha vissuto l’ultimo anno con grande fatica e sofferenza. E anche sentirsi dire che i contributi a fondo perduto sono rivolti a 5,8 milioni di piccole imprese, ma verranno ricevuti solo da 3 milioni di queste - sempre che facciano domanda - che si vedranno risarcire in media 3 mila euro a testa per due mesi in cui sono state chiuse a metà offre la nuda e cruda misura del risarcimento proposto: più o meno il criterio è quello di offrire qualcosa che vale anche meno del reddito di cittadinanza per imprese che per quanto piccole devono pagare almeno un paio di dipendenti.
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A differenza di Giuseppe Conte che ogni volta che stanziava queste mancette aggiungeva pomposo discorsi altisonanti che confezionavano quella misera merce con nastri d’oro e carta da grandi regali, Draghi non ha barato al gioco, limitandosi a riconoscere la «risposta parziale, ma è il massimo che abbiamo potuto fare con quelle risorse: più soldi possibile, più velocemente possibile all’interno di quei 32 miliardi di scostamento».
Bisogna rendersi conto però che avere diviso il poco fra molti di più non lascia fuori molti che non avevano visto fin qui manco un euro, ma inevitabilmente aiuta assai poco tutti. Si capisce dalle parole di Draghi in conferenza stampa che la sua risposta è di altro tipo: non risarcire tutti del dovuto, perché non ci sarebbero le risorse. Ma tamponare l’emorragia ancora per qualche tempo, perché se davvero si riuscisse a vaccinare con il ritmo prefissato gli italiani, in pochi mesi tutto riaprirebbe e se ancora in piedi risolverebbe da sé, fatturando più del dovuto. È una scommessa ed è pure rischiosa, ma la si capisce.
Ci potrebbero essere molti appunti su altre parti del decreto, ma le vedremo nei prossimi giorni nel dettaglio. Anche perché il premier governa con tanti, assai distanti fra loro per cultura politica e per elettorato di riferimento. E si è visto un minuto dopo la chiusura del consiglio dei ministri, quando quasi tutti hanno voluto mettere cappello su questa o quella misura, rivendicandone la paternità. E nessuno ha difeso il testo complessivo, preannunciando anzi modifiche in parlamento sulle cose che meno gli sono andate a genio. In queste condizioni non si può pretendere chissà che...
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Era la prima volta che Draghi davvero si concedeva a una conferenza stampa, accettando ogni tipo di domanda, anche le più urticanti ma rispondendo a tutti in modo stringato e devo dire convincente. Questo sì è un cambiamento non da poco rispetto al resto della legislatura: anni luce distante dalla fastidiosa e urticante vuota prosopopea di Conte, un uomo centrato solo su se stesso e drogato (è la sua unica esimente) dalla comunicazione muscolare che aveva imposto nel momento peggiore e davvero inadatto Rocco Casalino. Si è finalmente visto un uomo che seriamente fa il suo mestiere nelle condizioni che ha, non magnifica le sue scelte e non promette lune. Perfino auto-ironico nel rispondere a chi gli chiedeva un giudizio sulle attese messianiche da salvatore della Patria che hanno accompagnato il suol arrivo a palazzo Chigi: «Mi auguro che le future delusioni non siano uguali all’entusiasmo che c’è oggi». Ecco, le redini del Paese in mani così rassicurano di più. Quel che deve essere criticato lo sarà, ma con una possibilità in più: avere qualcuno che ascolta, e magari capace di correggersi. Non uno capace solo di guardarsi allo specchio per provarne grande piacere. Così si può anche sperare in meglio di questo decretino che ci si è parato davanti