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Letta per ora fa il pacificatore, la vendetta vuole gustarla fredda

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M. G. Zelle
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Di ritorno dall’esilio parigino, Enrico Letta indossa la maschera del pacificatore: niente vendette, un discorso programmatico chiaro e inclusivo. Eppure, sotto gli abiti del Conte, qualcuno intravede il volto di Edmond Dantes: gli ex renziani certo, ma anche chi, nel 2014, contribuì a pugnalarlo.

 

 

Perché la vera storia di quella congiura è un po’ più complessa di quel celebre «Enrico stai sereno» pronunciato da Matteo Renzi e rimasto alla storia. Il Governo Letta era immobile, incapace di produrre risultati che non fossero disastrosi. Fu la direzione del suo stesso partito, con Roberto Speranza, Luigi Zanda, Lorenzo Guerini in prima linea, a decretare la fine di quell’esperienza.

La vendetta Enrico Letta ha intenzione di consumarla in modo elegante. Al suo partito ha chiarito subito che l’orizzonte è il 2023. L’anno delle elezioni e quindi il momento in cui il segretario esercita il suo più grande potere: la composizione delle liste. Solo allora, sussurrano i maligni, calerà la maschera, per punire i nemici di ieri. Ed è per questo che Franceschini, volendo evitare faide feroci all’interno del partito e migrazioni di componenti di Base Riformista verso Italia Viva, avrebbe chiesto a Letta un segnale di distensione verso gli ex renziani.

 

 

Il nodo centrale della partita sarà infatti il congresso: è sulla data che si consumerà la vera battaglia, fra chi lo vorrebbe fra un anno, come Lotti e i sindaci, intenzionati a silurare Letta in favore di Bonaccini e chi invece vorrebbe attendere il 2023. Certo è che il mito del riformista pronto a ridare un’identità al Pd per non si sa quale preciso merito, cade miseramente quando si scopre che prima ancora di essere proclamato segretario, ha chiamato Conte e Di Maio, dimostrando di non volersi discostare troppo dalla strada tracciata da Zingaretti. Un’alleanza perfettamente rappresentata da quella borraccia rossa con su scritto sopra «bella ciao»: come a dire, sono di sinistra, ma sono anche green. Un patto meno sbandierato ma concreto con il M5S quindi e, se ci riuscirà, l’inclusione nel centrosinistra dello scissionista Carlo Calenda che, però, dovrà poi spiegare ai suoi il perché l’alleanza di Renzi con i 5 stelle era un male e quella di Letta è invece accettabile.

Le prove generali sono già iniziate, se si pensa che il «mai con il M5S» Carletto ha accettato l’ingresso dei grillini nella giunta regionale del Lazio, stringendoci di fatto un’alleanza. E, forse, Calenda non ha altra scelta visto che il tavolo che dovrebbe riunire i liberali da lui organizzato, presieduto da Cottarelli, ha subito il niet non solo di Base Italia di Marco Bentovogli, ma, paradosso, di chi i liberali in Italia li rappresenta culturalmente: la Fondazione Luigi Einaudi e lo stesso PLI.

Un programma di successo insomma, perfetto per confermare alle urne la volata del centrodestra sancita dai sondaggi. Già, perché anche se è descritto dai Dem come il Mario Draghi del Pd, Enrico Letta non ha in fondo altro merito per la sinistra se non quello di essere profondamente avverso a Matteo Renzi. Una caratteristica imprescindibile per i Dem. Primum odiare, deinde sopravvivere.

 

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