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Astrazeneca, poca trasparenza e silenzi. Sui vaccini il ministro Speranza spieghi
Un mese di governo Draghi, ma oltre un anno e mezzo per Roberto Speranza alla Salute. E proprio il ministro, ancora più di Mario Draghi, ha il dovere di parlare chiaro. Perché è quello che ha scatenato ogni casino possibile in tema di vaccini e non si può illudere che cacciato Domenico Arcuri lui stia al riparo. Ci può stare che di fronte ad una recrudescenza del virus, l’esecutivo decida misure restrittive. Sta nella logica del contrasto alla pandemia. Ma diventa difficilmente sostenibile l’ennesimo giro di vite – sia pure attraverso la forma del decreto legge e non più dei soliti dpcm – se non ci fanno capire nulla che succede dei vaccini.
Soprattutto Speranza ha il dovere della trasparenza ed uscire da un silenzio sconcertante. Perché finora ha parlato solo con alcuni e non con tutti, senza mai spiegare come stanno effettivamente le cose. In altri paesi i ministri della Salute si sono esposti in prima persona.
Sicuramente non può rimandare la soddisfazione delle nostre curiosità al libro che ha scritto sulla fine della pandemia. Una figuraccia non replicabile. A partire da AstraZeneca è Speranza che deve aprire la boccuccia e dire come stanno le cose. Perché quel vaccino non arriva certo per volontà di Draghi. Ed è lo stesso premier a dover pretendere trasparenza dal “suo” ministro della Salute.
Anzitutto perché si è creata una psicosi sulla quale abbiamo il diritto di conoscere la verità, dopo le reazioni avverse a quel vaccino che hanno provocato alcune morti. Fa male? O siamo nel campo statistico di quel che può accadere? Bisogna rispondere a chi se lo è fatto inoculare, preoccupa chi deve ancora sottoporsi alla puntura.
In un caso o nell’altro, il ministro deve parlare. E non può esporre Draghi che ieri è arrivato a pronunciare queste parole: “L’Agenzia Europea per i Medicinali sta esaminando i casi sospetti, ma ha anche consigliato di proseguire col suo utilizzo”. Possiamo dire che sa di presa in giro? Speranza – se le parole di Draghi hanno invece un senso – vada in tv e spieghi perché non dobbiamo preoccuparci. Oppure, nel caso contrario, fare il suo dovere anche nei confronti di AstraZeneca. Non succede nulla, proprio nulla, non nel vaccino, ma nei comportamenti del ministro. Anche perché è lo stesso Speranza ad aver seguito il dossier vaccini. È lui ad aver magnificato l’accordo europeo che avrebbe dovuto risolvere i nostri problemi di approvvigionamento: quali responsabilità ha fatto assumere all'Italia?
Adesso continuiamo ad avere meno vaccini di quelli che sarebbero necessario: chi ha omesso di verificare gli accordi che sottoscriveva la Ue? Il ministro Speranza di oggi è lo stesso che ieri dava al Parlamento un cronoprogramma per la vaccinazione che è stracciato, diventando carta da coriandoli.
Quanto ritardo ci è costata quella irrefrenabile voglia di Primula di Arcuri? Lui non si era accorto della castroneria? Su AstraZeneca: possiamo sapere quanti italiani hanno già disdetto la vaccinazione prenotata? E magari quali differenze ci sono tra i vaccini usati da noi e quelli in Danimarca, Norvegia, Islanda ecc. Ci piacerebbe domandare al ministro anche se se la sentirebbe ancora oggi di applaudire la sceneggiate del 27 dicembre scorso con le scorte blindate ai vaccini…
Ma già sappiamo che le nostre domande sono destinate a rimanere senza risposta. Perché il ministro è permaloso – anche se questa è diventata una costante di una politica ostile al diritto-dovere di critica – e ha il terrore di essere messo in discussione, visto che non ha neppure il pieno sostegno della sua minuscola formazione politica. Però, le risposte vanno date e rapidamente, se non si vuole davvero far crescere invece il fronte dei novax. Perché tacendo cresce la domanda. E se le risposte non arrivano, la conseguenza è facilmente intuibile. Glielo spieghi il premier. Glielo consigli qualcuno dei suoi amici e compagni. Ma questa concezione aristocratica del rapporto con la pubblica opinione mal si addice ad un esponente politico. In democrazia bisogna avere l’umiltà di accettare il confronto, e non solo con un Parlamento muto.