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Cent'anni di Gianni Agnelli, simbolo di un'epoca libera

Antonio Siberia
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Silvio Berlusconi, il liberale. «Un grande personaggio, ma anche un amico e un consigliere. Mi ricordo che a Saint-Moritz a lui raccontai, tra i primi, il progetto della mia discesa in campo. Poi, voci maligne attribuirono a lui la frase: "Lasciamolo fare, se perde, perde lui, se vince abbiamo vinto tutti noi". Ma io non ho mai avuto ragione di dubitare che non abbia mai detto quella frase». Fausto Bertinotti, il comunista: «È la fine di un’epoca». Mario Borghezio, il leghista: «È morto un grande padano». Massimo D’Alema, l’ex comunista: «Un protagonista dell’Italia repubblicana». Carlo Azeglio Ciampi: «Era profondamente italiano».

 

 

Per capire cosa davvero abbia incarnato, come simbolo oltreché come uomo, Gianni Agnelli, di cui ricorrono oggi i 100 anni dalla nascita, basterebbe andare a rivedersi le dichiarazioni della politica nel giorno della sua scomparsa, era il 2003. Ognuno vedeva Gianni Agnelli a modo suo perché l’Avvocato era un uomo carismatico e vitale prima ancora che un ricco imprenditore e il signore della Fiat. Un simbolo per i potenti e per i semplici, per i ricchi e per i poveri, per gli imprenditori e per gli operai. Per capire il fascino di Agnelli (Gianni) c’è un episodio raccontato dal giornalista Indro Montanelli in un suo controcorrente su «Il Giornale», l’anno era il 1978. Un episodio che vale più di mille panegirici. Scriveva Montanelli: «Sorpreso sul fatto, mentre cercava di appiccare il fuoco a una cantina, tale Dario Spinello, meglio conosciuto come "il piromane di Borgo San Paolo", ha nominato suo difensore di ufficio l’avvocato Giovanni Agnelli. Ma il tribunale ha respinto l’istanza perché, sebbene laureato in legge, Giovanni Agnelli non ha dato gli esami di procuratore e quindi non può esercitare. Siamo vivamente preoccupati per lui. E ora poveraccio, cosa farà?». L’ironia toscana di Montanelli e questo piccolo aneddoto non fanno altro che confermare quanto Gianni Agnelli abbia forse rappresentato l’ultimo Mito del Novecento italiano e di un Paese che oggi sembra avere un grande avvenire dietro le spalle più che un radioso futuro davanti.

Per questo, più che perdersi in cerimonie e agiografie per il solito anniversario da ricordare, tra foto a colori e in bianco e nero, nella ormai abitudinaria tradizione dei melodrammi nazionali, oggi con i coprifuoco, con l’Italia in crisi e con un lockdown che sembra per sempre, di Gianni Agnelli a noi manca soprattutto la vitalità. Che nostalgia, questa sì vera, profonda, di quando eravamo liberi. Agnelli è stato infatti oltre che un imprenditore e un senatore a vita, un grande viveur. La Costa Azzurra, Saint-Moritz, l’amore per il divertimento, insomma tutto quanto oggi ci è negato ai tempi della pandemia. Per questo non si può celebrare Gianni Agnelli nel 2021 del Coronavirus e delle libertà sospese senza tessere un elogio, forte, gridato, al suo amore per la vita e per la bellezza.

 

 

Tra tutti i personaggi famosi che nel 2003, quando morì, spesero parole a ricordarlo, due su tutti sembrano aver colto lo spirito dell’Agnelli vitalista. Il primo fu il regista fiorentino Franco Zeffirelli che lo paragonò a Lorenzo il Magnifico. «Questo momento di profondo dolore che unisce il cuore di tutti gli italiani - queste le parole all’epoca di Zeffirelli - mi fa pensare a quel lontano giorno in cui morì a Firenze Lorenzo il Magnifico, un uomo che fin troppo facilmente si unisce alla figura di Agnelli. Entrambi possedevano le virtù dei grandi: cultura, saggezza, gioia di vivere e l’arte di sapersi far amare. Sono profondamente rattristato dalla scomparsa dalla scena di un uomo così completo e complesso. Ci mancherà molto perché uomini di quel calibro sono ora una specie in estinzione». Il secondo ricordo è quello dello stilista Giorgio Armani che allora disse: «Mi ha colpito profondamente la scomparsa di Gianni Agnelli perché lo ritenevo, in un certo senso, immortale. Protagonista di tanta storia del nostro paese mi sembra oggi impossibile pensare di non leggere più le sue interviste così precise e significative o sentire quella voce inconfondibile e affascinante. Ci mancherà. Mi mancherà».

A noi, che non lo abbiamo conosciuto, oggi manca soprattutto quell’istinto alla libertà come esempio. Oggi che viviamo di chiusure al mondo e non di aperture. Non ci manca certo l’orologio sopra il polsino ma semmai quello struggle for life che ha segnato, con i suoi pregi e con i suoi difetti, la forza di quelle generazioni che dal Secondo Dopoguerra in avanti hanno fatto ripartire l’Italia. Oggi, che ripartire sembra la cosa più difficile e ancora lontana, il ricordo di Agnelli non può che essere questo. Fuori da ogni retorica della politica, del "lo conoscevo bene" e di tutte le litanie cerimoniose che riempiono - per ingannare il tempo - le ore di ogni anniversario importante. Gianni Agnelli, un uomo ricco. Ma soprattutto un uomo libero che amava il vento e la vita: «Ah, il piacere non me lo sono certo fatto mancare. Sa quale è il vero piacere? Un atto creativo. Un piacere senza creatività è di una noia mortale».

 

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