Terremoto Pd, l'incauto autogol di Nicola Zingaretti
Nel Pd guardano Nicola Zingaretti e picchiano con l’indice sulla tempia. “Un gesto incomprensibile” è l’espressione più dolce nei confronti di un segretario, anzi un ex segretario, che rischia di uscire triturato dal pandemonio che ha provocato con le dimissioni annunciate a freddo. La frase più vera la pronuncia un deputato romano: “Zingaretti è fatto così. O comanda o scappa dal conflitto”. Il nomignolo, cattivello per la verità, di “saponetta” è quello più azzeccato.
E di farlo comandare – in un partito libanizzato dalle correnti – nessuno aveva voglia. Adesso lui si illude di fare il kingmaker, ma il partito di cui si vergogna rischia di divorarlo. Una frase che gli resterà appiccicata addosso quella con cui si è dimesso da segretario. “Mi vergogno di un partito che parla solo di poltrone durante la pandemia”.
Col paradosso che non si può votare per la pandemia, ma per la lotta nel Pd si può invece scatenare l’inferno. Dicono i suoi che era la decima volta che minacciava le dimissioni. Adesso ci ironizzano su, ed è triste: “Si è dimesso prima della fine del blocco dei licenziamenti”.
Fino a 24 ore fa sembrava un coro, “ripensaci”, grondavano amici e nemici dalle agenzie. Tutto finito. La presa d’atto. L’assemblea nazionale convocata per i 13 marzo eleggerà il nuovo segretario e tanti saluti a Nicola. Zingaretti voleva decidere il prossimo presidente della Repubblica, dovrà accontentarsi di dare una qualche indicazione per il proprio successore. Se glielo faranno fare.
C’è chi dice che non si fidava più né di Orlando né di Franceschini. Si è lamentato di non poter controllare il partito. In realtà pare che qualche ministro lo abbia scavalcato anche nel rapporto con Mario Draghi, che non ha neppure avvisato delle dimissioni.
Ma aggrava tutto, Zingaretti, dicendo le dimissioni sono irrevocabili. E allora tutto ‘sto casino per le liste da fare alle politiche? In pratica ha lasciato la pratica nelle mani di quelli che voleva far fuori… Di “poltrone” continueranno a parlare, ma a sua insaputa. Un capolavoro.
Ricambia senza affetto Andrea Marcucci, capogruppo al Senato, che non ne poteva più dell’etichetta di ex renziano, adoperata per tacitarlo un giorno sì e l’altro pure: “No all’alleanza strategia con M5s”. Suona proprio come il Game Over pronunciato anni addietro da Matteo Renzi nei confronti di Silvio Berlusconi.
Risultato. I proiettili inviati a Renzi hanno colpito Zingaretti. Ha ragione quel deputato. A differenza di Cincinnato, Nicola sceglie però la comodità della Regione Lazio per tornare a fare il comandante solitario. Ma un partito non è come la regione. E poi pure lì ha quelli che vogliono poltrone, eccome se le vogliono. Anche perché lì sarà “solo” il governatore e non più il segretario.
Nel mazzo di carte che gli restano in mano, Zingaretti potrebbe avere il Campidoglio. Ma ci sono due ostacoli. Lo ha promesso a Roberto Gualtieri e se ci ripensa pure in quel caso deve scappare dalla politica. E poi, per fare il sindaco di Roma, Zingaretti dovrebbe sciogliere la regione. E’ incompatibile il ruolo di sindaco con quello del governatore.
Paradosso: senza almeno due poltrone – quello che accusa i suoi di essere poltronari – non può starci. In realtà, Zingaretti si muove come uno che ha perso la testa. Matteo Salvini lo ha mandato al manicomio. Il Pd, dopo il fallimento del Conte ter, ha brigato per una maggioranza “Ursula” con Forza Italia. E mai si sarebbe aspettato il sì leghista al governo Draghi. Prima col sostegno aperto e poi con lo stesso impegno sul campo di Giancarlo Giorgetti, ministro dello sviluppo economico in stretta relazione col premier. Sì, gli rimane davvero da studiare la maniera per come rilanciare il Pci… Quando le gaffe fanno storia.