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I partiti vogliono cambiare i vertici, i consiglieri della Rai preparano gli scatoloni

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Francesco Storace
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Nervi tesi, ma per fortuna c’è Sanremo. I vertici Rai, improvvisamente, hanno cominciato a pensare al loro domani. Le manovre per restare ai loro posti non possono riuscire e ieri Il Tempo ha documentato perché. Anche se ci stanno ancora provando. Ma ormai si può dire che il consiglio di amministrazione dell’azienda del servizio pubblico radiotelevisivo ha le valigie in mano. E non solo perché i membri del cda stanno al Festival. Settimana di pausa canora e poi dalla prossima il trasloco si avvicinerà, perché c’è generale insoddisfazione. Soprattutto da parte della politica: la Rai costa tanti quattrini, ma l’azienda sembra sempre ferma a schemi passati. Conta solo come macchina di potere e non è certo casuale il silenzio dei Cinque stelle. Il partito entrato in Parlamento con un terzo dei voti popolari pretese di indicare in Fabrizio Salini l’amministratore delegato, con i poteri fortissimi che gli attribuisce la riforma di Matteo Renzi.

 

 

Ma oggi quel consenso si è sgretolato, eppure a viale Mazzini e a Saxa Rubra sembra che non debba cambiare alcunché. Difficile da accettare. E ieri sono scesi in campo i pezzi da novanta della politica ad esigere la fine dell’esperienza dell’attuale management aziendale. Cinque stelle a parte, da sinistra si sono sentite le voci del Partito democratico, di Leu e Italia viva. Dal centrodestra, si è fatta portavoce dell’istanza di cambiamento la Lega di Matteo Salvini. Nella coalizione tacciono per ora Forza Italia e Fratelli d’Italia. I più legano il silenzio alla sorte che avrà la commissione di vigilanza Rai, che per ora è presieduta dall’azzurro Alberto Barachini: Daniela Santanché gliela vorrebbe soffiare per il ruolo di Fratelli d’Italia all’opposizione. Il partito di Berlusconi invoca il precedente di Sergio Zavoli, che rimase presidente anche col governo di tutti formato da Mario Monti. Si capirà di più nei prossimi giorni. In particolare i rappresentanti della Lega in commissione di vigilanza hanno segnalato che «il futuro Cda dovrà rilanciare l’azienda con un concreto piano industriale, non c’è tempo per ipotizzare proroghe dell’attuale assetto». Un giudizio netto sull’operato degli attuali amministratori.

 

 

Ma non c’è solo la importante questione legata al piano industriale. Il deputato di Italia Viva Michele Anzaldi solleva un’altra questione di non poco conto. «È urgente che il nuovo Cda venga nominato ed entri in carica al più tardi entro metà maggio perché solo così saranno il nuovo amministratore e i nuovi consiglieri a decidere e approvare i palinsesti 2021-2022. Se invece il Governo e il Parlamento permetteranno agli attuali vertici Rai di tirarla per le lunghe e arrivare fino a giugno, significa che i nuovi amministratori di imminente nomina si troveranno palinsesti già fatti, decisioni già prese, e quindi potranno iniziare a contare davvero sulle scelte aziendali solo tra un anno. Sarebbe un gravissimo errore, per questo non bisogna perdere tempo. Dal primo marzo, ogni giorno che passa senza la pubblicazione degli avvisi per le candidature è un giorno in più regalato ai vertici attuali».

 

A muoversi, ricorda il deputato di Renzi, devono essere Camera e Senato: «I presidenti Fico e Casellati, con la pubblicazione degli avvisi per la nomina dei nuovi consiglieri sollecitata anche da Italia Viva e dal Pd, costringerebbero anche la Rai a fare lo stesso con l’avvio della selezione del consigliere scelto dai dipendenti. Va ricordato che gli avvisi vanno pubblicati almeno 60 giorni prima della scadenza del Cda». Quindi bisogna accelerare le procedure, semmai.
Ma nei palazzi - almeno al Senato - non si intende dare l’idea di voler perdere tempo nel rispetto degli adempimenti previsti dalla legge vigente. E semmai se c’è ritardo è solo per una forma di riguardo nei confronti del nuovo governo, appena insediato. I più maliziosi attribuiscono la mancata decisione sui bandi per le candidature alla presidenza della Camera, proprio per via dello schema «salvate il soldato Salini». Ma è una partita persa, pare di capire.

 

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