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Arcuri a casa, un successo della Lega. Il nuovo Salvini non urla e incassa
“Stare dove si decide”, lo ha ripetuto tantissime volte Matteo Salvini, da quando ha deciso di sostenere il governo di Mario Draghi. Superando tante incomprensioni, anche naturali se vogliamo, confidando sulla capacità di ottenere risultati.
E la gioia gli si legge in faccia quando tra le mani ha il dispaccio di agenzia che segnala la fine del dominio di Domenico Arcuri sull’emergenza Covid. Troppi disastri ai quali ora dovrà porre rimedio il generale Francesco Paolo Figliuolo. Salvini “posta” sui social la notizia, ma senza urlare. Anzi, ringraziando proprio Draghi, che ha firmato il benservito ad Arcuri. Che ora è ex commissario.
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È da notare il “nuovo” Salvini, che mette al centro l’obiettivo e poi le mosse per ottenerlo. Per imbrigliarlo avrebbero dovuto farlo ministro, ma poi le sinistre avrebbero sbraitato. Lui non se ne è lamentato e ha trovato un modo produttivo per governare lo stesso, da segretario della Lega. Sempre attento a non tirare per la giacchetta il premier, ma spiegando le proprie ragioni.
Proprio con Arcuri il capo del centrodestra si è mosso con accortezza e ora tutti gli attribuiscono il risultato ottenuto. Lo scorso 21 febbraio Matteo Salvini aveva insistito per il licenziamento di Arcuri auspicando “un piano vaccinale serio ed efficace”.
Dopo pochi giorni – si fa notare anzitutto tra i suoi uomini più fidati - il leader della Lega incassa il risultato con soddisfazione e commenta “missione compiuta”.
E a ben vedere non è nemmeno la prima in questo brevissimo periodo dalla nascita del nuovo governo.
C’era un altro traguardo che Salvini si prefiggeva di portare a casa, dal tempo in cui aveva lasciato il Viminale per la crisi del primo governo Conte.
L’accelerazione sulla pistola a impulsi elettrici per le forze dell’ordine e l’impegno per pace fiscale e rottamazione delle cartelle esattoriali. Su entrambe le questioni, sta prevalendo la sua proposta senza bisogno di farci manifesti propagandistici.
A seguire arrivano le altre battaglie nell’agenda di Salvini. Dopo il consenso del governatore dell’Emilia Stefano Bonaccini alla sua idea legata all’apertura serale dei ristoranti, ieri ha avuto modo di apprezzare l’intervista di Dario Nardella, sindaco piddino di Firenze, che stronca il codice degli appalti (condividendo una posizione della Lega); poi ha scritto a Luigi Di Maio e Roberto Speranza per sollecitare collaborazione con San Marino a proposito dei vaccini.
Il merito, dunque, come argomento di campagna politica all’interno della compagine di governo voluta da Sergio Mattarella. E chi polemizza non ha capito nulla dell’esecutivo che trae origine dall’appello del Colle.
Ora ci si attende l’esito della richiesta di incontro con il Presidente del Consiglio e con il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese per discutere di immigrazione, anche alla luce dell’indagine sulla Mare Jonio. L’apertura dell’inchiesta di Ragusa scoperchia un lato davvero oscuro dell’immigrazione clandestina, con traffici di uomini e quattrini che nessuno – neanche a sinistra – dovrebbe lasciare impuniti.
Insomma, un cammino responsabile, attento, positivo, anche per quanto riguarda il “bottino” che attiene al fatturato leghista nel governo, oltre ai ministri. Nove sottosegretari rispetto ai sei del Pd e tra questi il Viminale, dove c’era chi voleva mettere un veto – abbattuto – su Nicola Molteni. Agli Interni proprio il Pd è rimasto fuori. E un altro fedelissimo come Claudio Durigon, è entrato nella fascia di comando come sottosegretario all’Economia, dove passeranno tutti i dossier più importanti di governo.
“Non ci sarà bisogno di urlare con Mario Draghi”, diceva ai suoi amici Salvini, appena incontrato l’allora presidente incaricato. Indicando nell’ex presidente della Bce “una persona capace di ascoltare prima di decidere”. Ragionare, dunque. Come deve fare il primo partito italiano.