Il capolavoro in tre mosse di Draghi. Colpisce duro senza dire una parola
Non ha pronunciato una parola. Non ha fatto un proclama, né fatto trapelare prima nemmeno la più pallida indiscrezione. Però in pochi giorni Mario Draghi ha rivoluzionato la struttura di comando con cui l’Italia stava naufragando nella sua battaglia più importante, quella delle vaccinazioni. Ieri in pochi minuti e con un comunicato stringato di formale e freddo ringraziamento per il lavoro fatto, il premier ha dato il benservito a Domenico Arcuri e nominato nuovo commissario straordinario all’emergenza il generale Francesco Paolo Figliuolo, un militare che ha comandato la missione del contingente italiano in Afghanistan e di quello Nato in Kosovo e che da due anni e mezzo era il responsabile della logistica dell’Esercito.
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Senza mai dire nulla dunque il premier ha cancellato in tre mosse un anno di errori nella lotta alla pandemia e tutta la tigna del suo predecessore, Giuseppe Conte, nell’insistere sugli sbagli e sugli uomini che sbagliavano rivendendo con slogan ogni caduta in un improbabile ma celebratissimo successo. Coordinamento della lotta alla pandemia a un uomo del fare come Franco Gabrielli, passato dalla guida della Polizia a palazzo Chigi come sottosegretario braccio operativo del premier. Ritorno alla guida della Protezione civile di Fabrizio Curcio, altro manager dell’emergenza abituato a operare più che a chiacchierare come il predecessore Angelo Borrelli (brav’uomo, intendiamoci, ma non adatto al ruolo).
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Una svolta radicale, che fa capire come le attese di un passo diverso del nuovo premier fossero più che giustificate, e Draghi procede con ben altro ritmo del predecessore. Davvero seppellito lo stile Rocco Casalino dove la sola cosa che contava del governo era presentare in modo roboante l’aria fritta senza mai ottenere un solo risultato, perché ora si bada solo alla sostanza senza nemmeno preoccuparsi di come la si comunica. Qualche riga secca di comunicato con i fatti. Ma la scelta compiuta dal premier è la più sensata che ci potesse essere: cervelli e strutture militari, il meglio della operatività della Protezione civile e la testa della Polizia italiana in prima linea a organizzare il piano di vaccinazioni e la lotta al virus. Se c’è una cosa che ha mostrato la differenza nella prima ondata della pandemia è stato proprio lo sporadico e disperato intervento dei nostri militari, ad esempio a Piacenza dove hanno montato con il genio un ospedale di emergenza Covid fondamentale. Non si capisce come ci sia voluto tutto questo tempo per attingere a quel patrimonio delle nostre forze armate, la sola struttura già allenata a operare in emergenza e a prevedere anche difese in caso di attacchi chimici e batteriologici.
Vedere questi uomini in azione e assistere nello stesso tempo all’archiviazione delle falangi dei parolai, quelli che pensavano alla gradevolezza dei padiglioni in cui vaccinare (le folli primule di Conte e Arcuri) e a buttare via soldi pubblici in inutile propaganda per la propria gloria sembra l’uscita da un incubo, il solo passo reale che consente di sperare. Ora possiamo vedere gente all’opera per il bene comune e potere pensare ragionevolmente di combattere il virus con la sola medicina possibile - il vaccino - e di tornare a passi rapidi il più possibile alla riapertura del Paese. Non sarà facile e la prima cosa che abbiamo di fronte - lo sappiamo - è la terza ondata del virus che nessuno può ora evitare. Ma con uomini abituati a combattere e non a magnificarsi siamo nelle migliori mani anche dovendo attraversare un altro tunnel.
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Troppe ombre hanno accompagnato la gestione dell'emergenza, e troppi fallimenti nell’epoca di Conte e Arcuri. La migliore cosa che ha fatto il commissario straordinario all’emergenza sanitaria licenziato ieri è stata il passo di addio, che certamente è stato dignitoso. Arcuri ha accettato di farsi da parte senza polemica e con un comunicato finalmente all’altezza del compito che gli era stato assegnato: «Sono onorato di aver potuto servire il mio Paese in una stagione così drammatica. Voglio ringraziare la mia squadra, le donne e gli uomini che con dedizione, abnegazione e professionalità mi hanno permesso di svolgere al meglio l’incarico affidatomi. Auguro al generale Francesco Paolo Figliuolo buon lavoro, certo che saprà affrontare con competenza il compito cui è stato chiamato». Non è il momento di infierire sull’uomo, anche se bisognerà sollevare prima o poi il velo di omertà che ha accompagnato la sua gestione, chiarire i contratti firmati, avere le ragioni dei soldi spesi in quel modo, capire come sono stati scelti i contraenti per le forniture. Oggi l’emergenza però è altra: riscrivere un piano vaccini degno di questo nome per salvare più vite possibili degli italiani. C'è da scalare una parete difficilissima. Ma ora a farlo c’è finalmente gente di montagna.