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Campagna nel caos, i vaccini finiscono ai furbetti

Dario Martini
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Sono 720mila i vaccinati che non rientrano in nessuna delle categorie essenziali previste dal piano strategico contro il Covid messo in campo dal ministro Speranza con il commissario Arcuri. Sicuramente, ci sono gli imbucati, i furbetti, i raccomandati, gli amici e i parenti che sono riusciti a farsi inserire in lista. Ma questo esercito di privilegiati comprende anche il personale non medico che lavora negli ospedali e nelle Asl. Tutti coloro che non si muovono dagli uffici, che non si alzano mai dalla scrivania e che non hanno alcun rapporto col pubblico. Insomma, una pletora di persone che non sta «in prima linea», come aveva stabilito invece il governo Conte quando ha messo nero su bianco le priorità della campagna di vaccinazione.

 

 

Poi, come se non bastasse, c’è il mistero degli operatori sanitari e sociosanitari che, secondo i dati ufficiali, hanno già ricevuto più di 2,3 milioni di dosi. Il piano di Speranza stima che ne servano 2,8 milioni per 1,4 milioni di persone. Quindi, il traguardo della copertura totale sarebbe a un passo. Eppure, se prendiamo gli ultimi dati Istat, gli operatori sanitari (pubblici e privati) in Italia sono 725mila tra medici, infermieri e farmacisti. Mentre i sociosanitari (Oss) sono 350mila, anche se di quest’ultimi non esistono numeri ufficiali. Il totale fa 1.075mila lavoratori. Circa 300mila meno della stima di Speranza. Se prendiamo per buoni i numeri Istat dovremmo avere già immunizzato la totalità del settore sanitario. Inoltre, ciò che salta subito all’occhio è che sono state iniettate 3.171.394 milioni di dosi a chi ha meno di 70 anni, a fronte delle 1.031.551 "concesse" a chi ne ha di più. Tradotto: chi rischia di meno ha preso il triplo dei vaccini di chi rischia davvero la vita se viene infettato dal Covid. Logica vorrebbe che ad essere messi in sicurezza per primi siano gli anziani. Eppure, gli over 80 finora hanno ricevuto 886mila dosi, a fronte delle 4,2 milioni già iniettate in tutta la popolazione. La fascia d’età tra 70 e 79 anni è la meno vaccinata del Paese (145mila dosi). Anche la situazione nelle Rsa non appare in fase avanzata: 395mila dosi somministrate quando la previsione è di metterne a disposizione oltre un milione per coprire tutti i 570mila aventi diritto che vivono o lavorano nelle strutture residenziali assistenziali.

Poi, ad ingarbugliare la situazione ci sono le Regioni che vanno in ordine sparso. La Toscana, ad esempio, si è lanciata in avanti iniettando il siero di AstraZeneca a chi lavora nella giustizia. Non solo ai cancellieri dei tribunali e ai magistrati, ma anche agli avvocati, praticanti compresi. Sicilia e Puglia hanno annunciato che sono pronte a seguirne l’esempio. In questi giorni il vaccino sta arrivando anche ai farmacisti. Il problema, però, è che la categoria viene interpretata in senso ampio. Non solo coloro che hanno un rapporto diretto con il pubblico. Diventa «farmacista» anche chi lavora nel settore della farmaceutica e, ad esempio, si occupa solo del lato commerciale.

 

 

Poi, in questi giorni, si sta iniziando a vaccinare chi lavora nelle università. La Lombardia ne ha dato l’annuncio ieri. Anche le Marche sono partite, così come la Sicilia. Senza contare il paradosso della scuola. Proprio mentre ci si prepara a richiuderle e ad aumentare la didattica a distanza, prende piede la vaccinazione del personale scolastico (125mila dosi somministrate finora). Anche questo settore è inteso in senso estensivo: da chi si occupa della pulizia degli istituti ai bidelli.

In questo mare magnum si vogliono infilare un po’ tutti. Due giorni fa, l’ordine dei commercialisti ha inviato una lettera al ministro della Salute che suona così: se si vaccinano gli avvocati e i magistrati, perché noi veniamo lasciati fuori? Stessa richiesta è arrivata da Poste Italiane: «I nostri dipendenti sono in prima linea, devono rientrare tra le categorie prioritarie». Tra coloro che vogliono passare davanti a tutti ci sono anche i dipendenti di Bankitalia, che chiedono all’istituto di Palazzo Koch di «adoperarsi» affinché vengano «opportunatamente presi in considerazione nell’ambito del piano vaccini».

La ciliegina sulla torta sono le dosi disponibili ma inutilizzate pari a 1,6 milioni. La motivazione ufficiale è che bisogna poter contare su una riserva cospicua per garantire i richiami a chi ha già fatto la prima iniezione. Una spiegazione che non convince molti esperti, convinti che si stia esagerando. Per il virologo Roberto Burioni, è vero che «ci mandano pochi vaccini, ma se quelli che ci arrivano rimangono nei frigoriferi il guaio diventa ancora maggiore». Intanto, gli anziani aspettano pazientemente il loro turno.

 

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