Vaccini a chi rischia davvero, prima gli anziani: basta sprecare dosi
Se procediamo con poche dosi per salvare le categorie professionali non si riaprirà mai l'Italia
Che ci sia qualcosa che non sta funzionando nel piano vaccinazioni italiano, è evidente: solo tre paesi in tutta Europa sono sotto la media di vaccinazioni giornaliera per 100 mila abitanti a ieri sera: sono la Repubblica Ceca, il Belgio e la Lituania. Tutti gli altri fanno meglio dell'Italia, e quindi proteggono di più la loro popolazione e salvano vite dei loro cittadini. Il taglio della produzione rispetto alle attese c'è stato per tutti, però gli altri procedono più rapidamente di noi. E nessuno ha buttato giù alla vigilia della campagna un piano di vaccinazioni muscolare come quello elaborato da Roberto Speranza e Domenico Arcuri non una vita fa, ma il 12 dicembre scorso.
Secondo loro alla fine del primo trimestre 2021, e quindi il prossimo 31 marzo l'Italia avrebbe dovuto erogare 28.269.000 dosi, con una media di 9.421.000 al mese. Siamo a due terzi di quel cammino, e le dosi erogate effettivamente sono state 4.051.360 mila, quelle distribuite un po' di più: 5.830.660 mila a ieri sera. In 57 giorni dunque la metà di quelle che erano previste in 30 giorni. Hanno tagliato sì la produzione e rallentato le consegne, ma non così tanto. Il fatto è che il governo precedente aveva buttato giù stime fantasmagoriche e del tutto irrealistiche, perché quello era il mondo fantastico di Rocco Casalino, Conte e Arcuri che dovevano rincitrullire gli italiani con una fandonia dietro l'altra.
Secondo loro dal primo gennaio al 31 marzo si sarebbero dovute somministrare 16.155.000 dosi di vaccino Astrazeneca. A due terzi del percorso ne sono state erogate 1.048.000 dosi. Erano numeri lunari, tanto più che quel vaccino è stato autorizzato solo a fine gennaio, e Arcuri & c quando hanno buttato giù il piano lo sapevano benissimo. E poi 8,7 milioni di dosi di Pfizer, 2 milioni di dosi di Curevac che manco è stato ancora autorizzato e 1,3 milioni di dosi Moderna. Fantasia pura.
La realtà è che siamo a quota 4 milioni di dosi, il 69,5% di quelle a disposizione (c'è chi tiene da parte quella per il richiamo) e che i vaccinati veri con prima e seconda dose sono un po' meno di 1,4 milioni di persone. Il grosso delle dosi (2,3 milioni) è stato somministrato agli operatori sanitari (2,3 milioni). Poi c'è un limbo di 697.343 dosi erogate a “personale non sanitario”, che dovrebbe comprendere il personale non medico di ospedali, e tutti gli imbucati fatti passare sul territorio. Si è iniziato con gli ultraottantenni (poco meno di 600 mila), con le Forze Armate (53.875) e con il personale della scuola (93.866). Ma i numeri sono ridicoli e le pretese di passare davanti agli altri numerosissime. Tutti i sindacati e ordini professionali invocano la precedenza per i propri iscritti, perché ovviamente il settore sarebbe strategico per il Paese. Qua e là le Regioni quella precedenza concedono: la Toscana ha inserito fra le categorie che potevano prenotarsi al numero unico quelle dei magistrati e degli avvocati. La Puglia li mette in lista dal prossimo 15 marzo. Perché? Perché il settore giustizia sarebbe fondamentale. Così come il settore scuola, come il settore sicurezza, e poi quello delle professioni che saranno fondamentali per mettere a punto le opere del Recovery Plan, e via così scendendo per il mondo dell'informazione che non si sente meno essenziale di altri.
E' possibile procedere in questo modo Regione per Regione non avendo nei fatti nessuna strategia complessiva e con i numeri che abbiamo davanti sia dei contagi sia delle fiale di vaccino? No, è una follia. E non c'è tempo da perdere. Ne è conscio il premier Mario Draghi che al consiglio europeo ha proposto di partire tutti con la prima dose di vaccino senza tenere da parte la seconda che può essere ritardata come in Inghilterra e pare che funzioni. Ci sono molti dubbi degli scienziati, ma può anche essere una strada da imboccare. Però non nel modo che sta avvenendo nelle varie Regioni, e con la filosofia dei settori più necessari. Con il ritmo con cui stiamo procedendo non ci sarà immunizzazione fino a chissà quando, e nel frattempo saremo costretti dalle varianti del virus a decretare un lockdown dopo l'altro facendo crescere rabbia sociale e povertà e mandando in tilt il sistema produttivo italiano che è al limite della resistenza.
La sola via possibile è ignorare le precedenze vantate da questo o quel settore e proteggere prima di tutti quelli che rischiano di morire del virus. Sono loro a dovere essere immunizzati. A ieri sera i morti di virus in Italia erano 97.227. Di questi il 41,6% aveva una età compresa fra 80 e 89 anni. Devono i primi ad avere la immunità totale, con precedenza su tutte le altre fasce di età. Il 20,5% dei morti aveva più di 90 anni: precedenza assoluta anche per loro, ovunque siano. Poi la fascia 70-79: 24,2% dei morti. Finiti quelli la fascia 60-69: 9,4% dei decessi. Vogliamo mettere in fila per chissà quando, ma prima degli altri anche la fascia 50-59? Fin qui lì si registra il 3,2% dei decessi (ma con lo 0,6% di letalità rispetto ai contagi). Sotto i 50 anni in ogni decade di età siamo ben al di sotto dell'1% di deceduti e sotto lo 0,2% di letalità. Possono aspettare? Certo che sì. Lo scopo del vaccino è evitare i picchi di letalità, e più in fretta si mettono al sicuro le fasce di età dove il rischio è più alto, più in fretta si potrà tornare alla vita normale. Se si muore come per una banale influenza non c'è bisogno di tenere chiuso nulla, e bastano e avanzano le protezioni che ormai ci siamo dati (mascherine, regole sul distanziamento). Questa è l'esigenza, altro che mettere in sicurezza la scuola o mettere in sicurezza il sistema della giustizia o quello dell'informazione o qualunque altro. I vecchi e gli anziani davanti a tutti, perché sono loro a morire. Via i campanili e le corporazioni, e le precedenze devono essere le stesse per tutti gli italiani, senza lasciare alcuna autonomia in questo alle Regioni.