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Il dramma non sono gli insulti alla Meloni ma una sinistra dal sangue blu

Franco Bechis
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L’altro giorno quel professore di Siena, tal Giovanni Gozzini, che riempie di insulti Giorgia Meloni sostenendo che non avendo secondo lui letto un libro in vita sua non può rivolgersi in Parlamento a uno come Mario Draghi. 

Ieri il «dottore sottile» del Partito democratico, Goffredo Bettini, che in un’intervista a La Stampa si augura che questa esperienza di governo di salvezza nazionale appena iniziata possa alla fine avere «civilizzato» la destra italiana.

 

Due stili indubbiamente diversi, e infatti lasciamo perdere la sfilza di insulti e contumelie rivolti alla leader di Fratelli di Italia da quel professore. Qualcosa in comune però le due opinioni hanno, ed è il cancro di cui è ammalata la sinistra italiana: quello della sua presunta superiorità morale, che la fa sentire non solo l’unica forza politica autorizzata per il proprio sangue blu a esistere, ma anche la sola investita della missione di mischiarsi ad altri per purificarne il sangue plebeo. 

 

Non è appunto questione di stile: questo modo di ragionare e di guardare gli avversari politici (oggi si dice così della destra, ma due anni fa era lo sguardo che il Pd aveva sui grillini), è il vero virus che ha la democrazia italiana. Che non esiste nella testa di chi dispensa patenti di legittimità culturale o di civilizzazione agli avversari politici: così hanno ragionato nei secoli l’aristocrazia e le varie degenerazioni dei regimi. Perché non c'è gran differenza fra chi rivendica il proprio primato culturale o morale e chi invece quello del proprio sangue od origine etnica. Sono forme più sottili ma per questo non meno pericolose di razzismo, tanto più gravi quanto chi pronuncia quelle parole non ne avverte manco l’insidia.

 

Nelle democrazie è il popolo a scegliere ed eventualmente a sbagliare le sue scelte, potendole correggere in un solo modo: con il proprio voto. Sempre che le regole poi questo concedano, senza rapirne la possibilità in modo subdolo come purtroppo avviene. Non è la lettura dei libri a dare importanza a una forza politica, né il suo sentirsi più o meno civile di altre: è il consenso del popolo che ne stabilisce la forza, piaccia o meno. Ed è antidemocratico sovvertire questo ordine delle cose facendo leva sulla presunta superiorità della propria cultura o civiltà.

 

È sicuramente da decenni questo il principale cancro della nostra democrazia, la sostanziale restrizione della libertà di questo paese. Perché è ragionando come Gozzini e Bettini che una parte rilevante del potere in questo paese è riservato a questo finto sangue blu e mai distribuito come davvero avverrebbe in una democrazia. Basti pensare cosa è stato il controllo del potere nella magistratura in tutti questi anni, come a metà di questo paese è stato precluso di essere rappresentato anche una volta sola per sbaglio al Quirinale, per non citare quel che è avvenuto nel potere economico così strettamente connesso a quel sangue blu da non lasciare che piccole riserve a chiunque altro. 

Abbiamo approvato anche noi da queste colonne quello che è avvenuto nell’ultimo mese e la scelta di Sergio Mattarella di affidare la guida del Paese all’italiano più conosciuto, temuto e apprezzato al mondo: Mario Draghi. Ma quella è stata una scelta disperata per l’emergenza in cui ci troviamo, dovuta anche al fatto che tante superiorità morali e civili che avevano nelle loro mani il Paese in questi mesi hanno fallito lasciandone ora solo le rovine al successore. C’è da strapparsi i capelli (anche se non ne ho) per essere dovuti arrivare a questo punto, non certo da gloriarsene. E da sperare che qualche rovina possa essere messa in piedi in fretta, per ridare il prima possibile agli italiani non la «civilizzazione», ma il diritto che in democrazia hanno di scegliersi chi li possa rappresentare e possibilmente guidare. È la sola cura possibile da quel cancro, ed è di quel diritto che bisogna avere gran rispetto.
 

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