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Ultimo mese in mano ad Arcuri. Il commissario ha i giorni contati

L'intenzione di Draghi è aspettare la scadenza anche se crescono le pressioni per licenziarlo prima

Gaetano Mineo
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C'è chi giura che Domenico Arcuri stia preparando gli «scatoloni». Il commissario per l’emergenza Coronavirus appare consapevole che la sua poltrona traballa più che mai. L’uscita di scena dell'uomo voluto fortemente dall’ex premier, Giuseppe Conte, potrebbe arrivare il 31 marzo prossimo. O forse anche prima, dato il forte pressing di chi vuole le sue dimissioni. L’ipotesi più accreditata, pare quella decisa dal premier, Mario Draghi, che in religioso silenzio e senza scatenare terremoti politici, lascerà scorrere il tempo fino al 31 marzo, quando, per legge, scadrà automaticamente l’incarico di commissario per l’emergenza pandemia assegnato proprio ad Arcuri grazie al decreto legge n.18 emanato lo scorso 17 marzo, poi convertito in legge. All’articolo 122, viene precisato che il «commissario opera fino alla scadenza dello stato di emergenza e delle relative proroghe». Poi, il 31 dicembre, il Cdm ha approvato il cosiddetto decreto «Milleproroghe» che, all’articolo 19, ha disposto un nuovo termine massimo alle funzioni del Commissario straordinario «non oltre il 31 marzo 2021».

Intanto, Draghi sembra averlo già bocciato col suo intervento programmatico al Senato, quando ha parlato della campagna di vaccinazione. «Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla Protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari» ha detto il premier a Palazzo Madama. Come dire, caro commissario, niente più Primule e prebende. E proprio Primule, mascherine, siringhe e vaccini hanno costellato negli ultimi dodici mesi il «pianeta Arcuri» non senza polemiche, facendo accendere anche i riflettori della magistratura. L’ultima grana è arrivata l’altro ieri dalla procura di Perugia che ha incaricato i carabinieri del Nas di acquisire presso la struttura del commissario straordinario la documentazione per accertare le modalità di approvvigionamento dei vaccini.

Uno scenario aggravato - per Arcuri - da un pressing bipartisan della politica che ne chiede a gran voce le dimissioni. Tuona Giorgia Meloni (FdI): «Disastri, ritardi, fallimenti, gestione imbarazzante e vergognosa dei soldi degli italiani: cosa si aspetta ancora per rimuovere il Commissario Arcuri dal suo incarico?». Rincara Matteo Salvini (Lega): «Ci sono stati problemi sulle mascherine, sulla scuola, sui vaccini, sull’Ilva, tutti i settori in cui ha lavorato Arcuri. Mi sembra evidente cosa possa pensare di lui». Già, l’Ilva. Infatti, tra i tanti incarichi di Arcuri, oltre che da quattordici anni guida Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa), lo stesso avvocato del popolo Conte, ha affidato ad Arcuri, in piena pandemia, la risoluzione di una delle più grandi vertenze del Paese, proprio quella dell'Ilva. «Troppo potere in mano a una sola persona» ha sempre puntellato Matteo Renzi (Iv). Più schietta la senatrice Udc, Paola Binetti: «L’operazione mascherine, i banchi a rotelle, le siringhe e infine perfino gli anticorpi monoclonali, tutto ciò che passa dalle sue mani suscita perplessità e non di rado scandali». Il senatore Pd, Tommaso Nannicini: «Vista l’evanescenza del piano vaccinale, un cambio di passo anche su quel fronte sarebbe auspicabile».

E, intanto, nell'ambito dell'inchiesta sulle mascherine, la Procura di Roma parla di cricca internazionale che avrebbe fatto «lucrosi affari» sull’epidemia. Mentre la Corte dei conti continua a indagare sulle siringhe inadatte per i vaccini.
 

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