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Appello a Draghi, ecco perché Arcuri va rimosso

Franco Bechis
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Quando alla vigilia di Natale Nicola Porro a Quarta Repubblica riuscì a portare Mario Benotti, l'ex giornalista Rai che fece da intermediario per la prima maxi fornitura di mascherine dalla Cina da Domenico Arcuri, mostrò la sola spiegazione ufficiale fornita sulla vicenda dal commissario straordinario alla emergenza sanitaria.

 

 

Benotti, che era già indagato per traffico di influenze illecite, diede ovviamente la sua versione. Ed era semplice: conosceva da tempo Arcuri, aveva passato anche lungo tempo con lui per scrivere un libro che citava anche le attività svolte da Invitalia, si davano reciprocamente del tu per la cordialità che si era instaurata. Così quando Arcuri in piena prima ondata fu chiamato a cercare mascherine, camici, gel, tute, insomma tutto quello che nonostante lo stato di emergenza dichiarato il governo italiano non si era sognato di cercare (anzi, aveva dato via alla Cina il poco che aveva da parte), chiese in giro chi poteva dargli una mano. Benotti sostenne che proprio lui chiese aiuto e che volentieri glielo diede perché sapeva come arrivare dagli unici produttori di mascherine in quel momento esistenti: i cinesi. Più volte inviati tv e giornalisti hanno chiesto ufficialmente ad Arcuri conferma della versione di Benotti. Lui ha sempre rifiutato di rispondere, perfino in conferenza stampa quando a chiederlo fu una inviata di Report. Ma quel 21 dicembre una risposta indirettamente arrivò, e venne dagli avvocati di Arcuri, che avevano inviato alla trasmissione di Porro una citazione in giudizio proprio per questa vicenda. Ecco cosa rispondevano gli avvocati del commissario straordinario: «Nel servizio vengono indicati espressamente gli imprenditori Mario Benotti ed Andrea Vincenzo Tommasi come i "due intermediari di Arcuri", nonché "conoscenze personali" del medesimo. Le affermazioni sono entrambe false». Dunque la versione di Arcuri c’è, ed è addirittura depositata in un tribunale della Repubblica (non a quello dell’inchiesta sulle mascherine, però) e sostiene che è falso che Benotti fosse una conoscenza di Arcuri. Ieri nel suo decreto di sequestro dei beni a Benotti e agli altri imprenditori coinvolti nell’inchiesta sulle mascherine il pubblico ministero ha scritto che «il numero esatto dei contatti fra Benotti e Arcuri nel periodo fra il 2 gennaio 2020 e il 6 maggio 2020 è stato 1.282». Stiamo parlando di contatti telefonici o messaggi sms e whatsapp: più di dieci al giorno ogni giorno per 124 giorni. Ho moglie e tre figli, e con loro non ho dieci contatti al giorno tutti i giorni, ma certo non posso dire che non siano conoscenze personali. Arcuri invece sostiene che non possa definirsi «conoscenza personale» quella con Benotti nonostante lo senta in media dieci volte al giorno ogni giorno per quattro mesi.

 


Lo racconto ai lettori, ma anche al nuovo presidente del Consiglio, Mario Draghi. Non le pare presidente, che già solo quello che è contenuto in queste righe sia motivo più che valido per sollevare dal suo incarico il commissario straordinario all’emergenza sanitaria? Può dire bugie così clamorose chi ricopre un incarico pubblico addirittura in un atto di citazione davanti a un tribunale della Repubblica? E non vogliamo citare l’uno dopo l’altro gli insuccessi e gli scivoloni che Arcuri ha compiuto in quell’incarico dal primo all’ultimo giorno del suo mandato, dovesse occuparsi di mettere in sicurezza la scuola, di rafforzare le terapie intensive negli ospedali o di immaginare faraonici centri di vaccinazione come le primule.
È vero che Arcuri scadrà nel suo incarico il prossimo 31 marzo, come stabilito dal decreto milleproroghe e si potrà non rinnovarlo prendendosi il tempo per studiare meglio i pasticci che ha fatto. Ma anche quel mese e mezzo che manca al termine è tanto, e non lo merita. Perché il commissario straordinario non ha alcun senso dell’incarico pubblico ricoperto, né la responsabilità che deve avere verso i cittadini contribuenti (e non verso chi lo nomina come sempre ha fatto nella vita ammaliando questo o quel politico in auge a seconda dei tempi). Deve rendere conto di quello che ha fatto ai cittadini che pagano non solo il suo incarico, ma anche la sua lista della spesa. E lui si è sempre sottratto a questo dovere che non è morale (può non averne alcuna, non è affare pubblico), ma istituzionale. Signor presidente del Consiglio, lo sa che il fiume di denaro che è passato fra le mani di Arcuri non è solo quello che viene dall’indebitamento straordinario dello Stato italiano per la pandemia, ma anche quello che viene dai fondi ordinari europei con cui è stata finanziata più della metà dei 3 miliardi di euro spesi in forniture? Il perché e il come tutto è stato fatto dovrebbe essere quindi spiegato non solo ai cittadini italiani, ma a quelli d’Europa che con le loro tasse hanno pagato gli acquisti di Arcuri. Lo sa, signor presidente, che sono stati acquistati da Arcuri come ha dimostrato recentemente una accurata inchiesta di Milena Gabanelli, dispositivi di protezione individuale a prezzo quasi triplo di quello che per la stessa fornitura in contemporanea veniva pagato dalla Regione Marche? Lo sa che la differenza era proprio nel pagamento degli intermediari usati per forniture ancora una volta orientali? Perché questo spreco di denari pubblici europei che potrebbe mettere l’Italia in difficoltà al momento di chiedere le erogazioni del Recovery Fund? Lo sa che lo stesso tipo di gel igienizzante è stato comprato dalla struttura del commissario a cifre per confezione che oscillano fra 4,15 e 6,1 euro? Perché? E perché non si sono cercati i prezzi più bassi nemmeno quando l’emergenza non era più tale? Abbiamo pagato 20 prezzi diversi per le mascherine chirurgiche: da 0,24 a 0,87 centesimi a mascherina. Nella emergenza di marzo la fornitura dalla Cina è avvenuta a 0,298 centesimi a mascherina, ma il 7 luglio è stato firmato un contratto per 0,87 euro a mascherina. Per le tute di protezione contratti oscillanti fra 7,1 e 16 euro a pezzo. Per le mascherine Ffp2 fra un euro e 2,16 euro a pezzo. Le Ffp3 sono state pagate nei vari contratti fra 3,4 e 4,85 euro a pezzo senza mai dare una sola spiegazione.
Sappiamo tutti che il solo biglietto da visita di Draghi oggi è garanzia davanti agli altri paesi europei come nei consessi internazionali, e farà comunque da ombrello. Non per questo si può lasciare sospesa una zona grigia sull’utilizzo di miliardi di euro pubblici come quella lasciata da Arcuri in questo anno di emergenza sanitaria. È il cambio di rotta più urgente e moralmente necessario che ci sia in questo momento. C’è da sperare che il presidente del Consiglio non sia timido e prudente su questo.

 

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