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La riunione immaginaria degli orfani di Conte. Pd, Leu e M5s alla disperazione

Francesco Storace
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Proviamo immaginare la riunione dell’intergruppo parlamentare degli orfani di Giuseppe Conte. Anzitutto le difficoltà di convocazione. Chi dovrebbe partecipare per i Cinque stelle?
Già, se la si fa prima della fantasiosa elezione dei magnifici cinque del direttivo prossimo venturo, arriva, immancabile, Vito Crimi a battere i pugni sul tavolo davanti agli alleati. Salvo chiedere scusa un secondo dopo per una mossa che al massimo sarebbe da streaming ai tempi del no a Pierluigi Bersani.
Ci sarebbe Leu, anche se gli si potrebbe chiedere se rappresenta ancora la “sinistra italiana” che dice no (a metà) a Mario Draghi con l’eroico Nicola Fratoianni. Ormai si è capito che Lei serve solo a garantire la seggiola ministeriale a Roberto speranza.
Poi, ovviamente, il Pd, con Nicola Zingaretti chiamato ad esprimere l’opinione di un partito dilaniato dalle correnti.
Quell’intergruppo per il Pd è un calcio in faccia a Matteo Renzi e uno spintone allo stesso governo, che si regge su una maggioranza che non è esattamente la stessa di Conte.
Sarebbe una riunione che durerebbe pochi minuti, senza neppure la briga di stilare un straccio di documento unitario alla fine. Perché i cinque stelle rischierebbero di perdere altre decine di pezzi, Leu di polverizzarsi definitivamente e il Pd dover chiedere il permesso di convocare un congresso prima di poter dire sì ad un qualsiasi comunicato stampa.
La trama rossa sul governo di tutti non sta bene e farebbero meglio a sciogliere ogni ambiguità. Non esistono maggioranze allargate e sottomaggioranze ristrette. Se c’è il governo di salvezza nazionale, non c’è spazio per il rifugio nel monolocale. Si rasssegnino a governare se hanno detto sì a Draghi. Lo sapevano prima quali fossero i partner e i ministri. E ora se li tengano senza stare a frignare.

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