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M5s alla frutta, scissionisti scatenati: chi non voterà la fiducia a Draghi

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I numeri non sono da fronda, ma da scissione. Il Movimento 5 Stelle esplode sul governo Draghi mentre crescono i parlamentari grillini che mercoledì non voteranno la fiducia e molti potrebbero seguire Alessandro Di Battista. Si è aggiornata a oggi, nel primo pomeriggio, l’assemblea M5s del Senato al termine di una riunione in cui sono volate ’botte da orbi', secondo quanto si apprende. Una parte nutrita del gruppo avrebbe messo da parte ogni remora verso i vertici del Movimento per criticare metodo e merito nel cammino che ha portato all’appoggio del governo di Mario Draghi. Sarebbero una ventina se non 39 su 92, secondo le stime, gli eletti che a palazzo Madama sono orientati sul no alla fiducia. Un numero maggiore, secondo fonti qualificate - quasi la metà del gruppo - se si calcolano anche i senatori orientati ad astenersi.

 

A partire da Barbara Lezzi che insiste per un nuovo voto su Rousseau sulla fiducia al governo Draghi e avverte che se non ci fosse è pronta a dire no all’esecutivo. "Il quesito parlava del superministero. Gli iscritti hanno votato su altro, quindi la consultazione va ripetuta. Lo Statuto lo consente, entro cinque giorni dalla precedente votazione", dice Lezzi, che in un’intervista al Fatto quotidiano ipotizza: "Possiamo sempre optare per l’astensione, e i ministri possono fare un passo di lato. Il governo partirebbe e noi lo valuteremmo su ogni provvedimento, potendo incidere. In questo esecutivo siamo minoranza, non abbiamo peso", sostiene Lezzi, che non fa previsioni su quanti no alla fiducia potrebbero venire dai banchi M5s del Senato: "Non faccio numeri e nomi, parlo per me. Se non si rivotasse non mi sentirei vincolata, dato che il quesito era erroneo". Quanto alla scissione, "non esiste. Io sono e mi sento del Movimento. Ma questo governo per noi è un suicidio", afferma Lezzi.

 

 Il senatore Emanuele Dessì, da sempre considerato un mediatore, è schierato apertamente sul fronte contrario al governo: "Se le cose dovessero rimanere così, voterò no", anche se riconosce di avere "paura dell’espulsione", ma allo stesso tempo "non posso pensare di perdere la mia dignità politica. Dispiace, ma non riconosco più, in alcuni nostri dirigenti, lo spirito del Movimento", dice Dessì in un’intervista a La Stampa.

 

Il capo politico, Vito Crimi, secondo quanto si è appreso, ha spiegato che chi voterà in modo difforme rispetto alla volontà manifestata dalla maggioranza degli attivisti su Rousseau verrà espulso. Ma di fronte ad una ’fronda' sempre più consistente si sta cercando una mediazione per non arrivare a mercoledì - giorno in cui Draghi presenterà il suo programma in Senato - spaccati. In diversi, infatti, in un fuoco di fila di interventi, avrebbero sottolineato di volere, in ogni caso, rimanere fedeli ai propri principi osservando che non è questo il governo che potrà fare le cose che servono al Paese. Sullo sfondo, anche se per qualcuno è prematuro, si staglia l’ipotesi, di fonte ad uno scontro - in cui l’alternativa sarebbe essere cacciati da M5s o uscirne - di creare una possibile componente nel gruppo Misto o la nascita di un nuovo gruppo. Dovendo tenere conto del nuovo regolamento di palazzo Madama, ci sarebbe la possibilità di agganciarsi ad uno dei simboli elettorali che sono stati presentati, anche se non viene spiegato quali potrebbero essere.

 Durante la riunione, peraltro, convocata dal direttivo solo dopo che un terzo dei senatori ne ha fatto richiesta, c’è chi ha chiesto di fare votare il gruppo sull’adesione o meno al nuovo esecutivo. Richiesta che non sarebbe stata accolta. E c’è stato chi - il senatore Crucioli - ha ribadito di non riconoscere la legittimità del quesito messo in votazione su Rousseau.

 

Ai parlamentari Vito Crimi ha spiegato, si apprende ancora, che non c’è stata alcuna trattativa con il premier Draghi sui nomi dei ministri: la lista è arrivata già pronta con una telefonata ai partiti. Crimi avrebbe sottolineato che è stato Grillo ad avere avuto l’intuizione di puntare all’impronta da dare al nuovo esecutivo, tenendo ben fermi si temi fondati del Movimento 5 stelle per metterne in atto i principi. Ad esempio quello della transizione ecologica. Una direzione, questa, su cui era necessario avere garanzie, avere la certezza che si concretizzasse, prima di poter sottoporre agli iscritti la richiesta di esprimersi su un sì o un no a Draghi. Non solo, lo stesso Crimi ha sottolineato l’importanza del ruolo di M5s al governo, non senza tralasciare il fatto che sia il neo ministro Roberto Cingolani, alla guida del nuovo dicastero dell’Ambiente - con tutte le competenze in più che gli sono state trasferite - che il neo ministro Enrico Giovannini vengono calcolati, anche se non strettamente ’grillini', in quota 
M5s. Per Cingolani, è stato lo steso Grillo a farne il nome e si tratta di persona di indiscutibile spessore, come Giovannini portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile. Le scelte di Draghi , insomma, non sono state casuali, ma hanno seguito un disegno preciso, anche per quanto riguarda il ministero dell’Agricoltura affidato a Stefano Patuanelli. È un dicastero la cui competenza rientra nell’ambito della transizione ambientale e degli investimenti che vi si posso fare. Quanto alla riconferma degli altri ministri, sarebbe stato sottolineato, conferma la bontà del lavoro svolto fin qui svolto.

Nell’assemblea dei deputati M5s, prorogatasi fino alla tarda serata, c’è stato chi come Giuseppe Brescia avrebbe sottolineato l’importanza del lavoro delle commissioni per fare comprendere quanto M5s sia determinante. E anche a Montecitorio non manca chi è orientato sul no alla fiducia.

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