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Governo Draghi, la nomina dei ministri e il rebus dell'incarico all'ex ragioniere Franco
Difficile dire se abbiano un solido fondamento le voci che vogliono Daniele Franco, direttore generale della Banca d'Italia, probabile ministro dell'economia o sottosegretario alle Presidenza del Consiglio. Potrebbe anche essere che si tratti di voci «inaudita altera parte», cioè Franco, se non di entrambe le parti, dunque anche di gradi, almeno per ora. Naturalmente, un'uscita di Franco da Palazzo Koch porrebbe il problema, non facile, che magari a qualcuno potrebbe, invece, essere gradito, della sua sostituzione.
Franco è uno dei massimi esperti di finanza pubblica anche in campo internazionale, con esperienze fondamentali in Italia e all'estero. È altresì un distinto economista. È stato anche un molto apprezzato, per particolare competenza e sicuro rigore, Ragioniere generale dello Stato. Ha prodotto saggi di carattere scientifico e ha dato prova ai diversi livelli delle sue doti non comuni.
Fa parte della «scuola» di finanza pubblica della Banca d'Italia che inizia negli anni sessanta con Mario Ercolani, il quale poi diventerà direttore generale, prosegue con Antonio Fazio che salirà i gradi della carriera fine economista e maestro della politica monetaria fino a quello di governatore, quindi con Giancarlo Morcaldo, anch'egli con importanti esperienze consulenziali nel Ministero all'ora del Tesoro e con la produzione di apprezzati scritti poi, dopo il pensionamento dalla Banca d'Italia, al vertice della Covip. All'epoca della partecipazione dell'Italia all'Unione monetari ed economica sin dalla prima fase, queste competenze furono molto importanti nell'affiancare quelle, cruciali, nella politica monetaria. Non si ricorderà mai abbastanza che il Consiglio dell'Ime - il progenitore della Bce che doveva esprimere un parere obbligatorio sulla idoneità alla predetta partecipazione - aveva inizialmente espresso una valutazione non favorevole che però fu rimossa con una lunga trattativa dal Governatore Antonio Fazio il quale, alla fine, ottenne anche la convergenza di Hans Tietmeyer, il duro governatore della Bundesbank (questi disse che l'Unione monetaria ed economica sarebbe stata un Inferno, ma poi concordò con Fazio che sarebbe stata il Purgatorio).
Ora si tratta di valutare, sempreché le voci su Franco abbiano fondamento e non si tratti del consueto «totonomine» nel quale molti amano esercitarsi, quale sia la postazione istituzionale migliore per contribuire ad affrontare con particolari capacità e tempestività i problemi della finanza pubblica: se nell'esercizio di quella naturale, ma molto importante, funzione di dialettica istituzionale e di alta consulenza agli organi costituzionali, che la Banca d'Italia è chiamata ad esercitare, o al di fuori di essa con la diretta assunzione della competente carica che comporta pure lo svolgimento di molte atre attribuzioni.
La scelta sarà, ovviamente, del presidente incaricato che conosce entrambi i mondi, del Tesoro e di Palazzo Koch. Il giustissimo intento di formare una squadra di alto profilo non dovrebbe trascurare la condizione dei possibili luoghi di provenienza delle asserite candidature né le possibili soluzioni alternative, da valutare comparativamente. Resta poi il problema del carattere eminentemente politico di alcune funzioni su cui esorcizzo è necessario riscuotere un solido consenso. Ma quest' ultimo è un problema che si presenta per l'intera formazione del governo, con ipotetiche soluzioni che hanno «pro» e «contra».