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Draghi già pensa a tagliare i burocrati. Ecco chi salta

Filippo Caleri
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Mario Draghi ha parlato finora poco degli strumenti e dei progetti da avviare se sarà capo del governo. Ma una cosa è certa. Nelle stanze dei ministeri, e in quelle della presidenza del consiglio, la tensione dei grandi mandarini della burocrazia inizia a salire di ora in ora. A ogni cambio di esecutivo, infatti, scatta inesorabile la tagliola dello spoil system. Termine anglosassone che cela il triste destino dei grand commis dello Stato che, a ogni cambio della guardia a Palazzo Chigi, sono di fatto dimissionari e possono essere salvati solo con esplicito atto del neopremier di turno. Per ottenere il salvacondotto ci sono due termini. Quelli della presidenza del consiglio devono essere confermati entro 45 giorni, tutti gli altri entro 90.
Ora considerata la posta in gioco e cioè l’utilizzo dei 209 miliardi del Recovery fund, è chiaro che i gangli più importanti dell’amministrazione sono già nel mirino di Draghi. Che essendo stato per oltre un decennio in uno dei posti più importanti della burocrazia, quello di direttore generale del Tesoro, conosce uomini e dinamiche dei più importanti dicasteri. Con ragionevole probabilità userà dunque l’ascia per segare capi del precedente governo, in particolaee quelli che non hanno brillato. Sono in ballo circa 65 poltrone di comando nell’amministrazione tra capi dipartimento, segretari generali e capi delle strutture di missione della Presidenza del consiglio. Tremano tutti. Si parte dal ministero dell’Economia, tassello fondamentale dell’azione di governo. E nel mirino ci sarebbe il direttore generale, Alessandro Rivera, al quale la macchina del Tesoro imputa una scarsa capacità di direzione ed empatia. A suo sfavore anche il rapporto poco idilliaco con la Ragioneria dello Stato. Al suo posto potrebbe arrivare Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei, e considerato uomo fedele a SuperMario. Rischiano anche gli altri capi dipartimento di viale XX settembre perché in attesa di incarico prestigioso c’è Alessandra Dal Verme, messa in ombra durante la gestione del ministro Gualtieri, e che potrebbe tornare in grande spolvero grazie all’incarico affidatole di curare il tavolo del Mef per il Recovery, condito ovviamente dalla parentela con l’eurocommissario Paolo Gentiloni, dominus dei flussi di denaro che arriveranno da Bruxelles. Riconferma a rischio anche per il segretario generale del ministero dello Sviluppo economico, Salvatore Barca. A suo favore l’amicizia con il ministro Luigi Di Maio, che dovrebbe restare azionista di maggioranza del governo Draghi, ma sfiorato da critiche pesanti sul suo curriculum vitae e le sue passate esperienze lavorative, considerate non esaltanti. Anche questo ministero sarà cruciale per l’attuazione dei progetti del Recovery e l’ascia di Draghi potrebbe essere implacabile. Stesso destino per il ministero delle Infrastrutture. La possibile non conferma di Speranzina De Matteo, capo del dipartimento dei trasporti non dovrebbe portarle nocumento perché la riporterebbe al dicastero di provenienza, il Mef. Partita più facile per l’altro capo dipartimento quello delle Infrastrutture in carica dal 2014 e finora sempre confermato. Lo stesso anche per il segretario generale del ministero dei Beni culturali, Salvatore Nastasi, nonostante qualche inciampo nei precedenti esecutivi, ha dalla sua uno sponsor d’eccezione e cioè Maria Elena Boschi, conosciuta quando era ministro delle riforme nel governo Renzi. Il repulisti però arriverà senza esitazione a Palazzo Chigi. Vero centro di potere dell’azione amministrativa per attuare il Pnnr. Con la conferma di Draghi come premier sono innanzitutto azzerate le cinque strutture di missione operative con Conte: da Investitalia a quella per la ricostruzione nei territori colpiti dal sisma. Non solo. Saltano tutte le caselle di comando di Palazzo Chigi. Come quella del segretario generale, Roberto Chieppa, al suo posto potrebbe arrivare Antonio Catricalà accompagnato da una casella di raccordo per controllare i flussi dei soldi del Recovery Plan, che i rumors danno per assegnata al fedele Daniele Franco se, alla fine, Draghi tenesse l’interim dell’Economia o da Francoforte arrivasse Fabio Panetta nel ruolo di capo del Mef (sempre che ci fosse il cambio con un altro italiano nel board di Bce). A rischio anche la conferma degli esterni tra gli altri il commissario per l’attuazione dell’agenda digitale, Luca Attias, il capo dipartimento dello Sport, Giuseppe Pierro, e Antonio Scino che dirige il dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica.


 

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