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La magia di Draghi. Li incanta tutti senza dire nulla

Franco Bechis
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Per essere uno che da anni era distante da Roma e dai suoi palazzi Mario Draghi ha condotto le consultazioni come un leader politico navigato della prima Repubblica. È anche per questo motivo che a ieri pomeriggio nelle fila della sua maggioranza c’era un assembramento che iniziava a preoccupare il mitico Comitato tecnico e scientifico, pronto a usare lo sfollagente per ridurre il contagio.

 

Matteo Salvini alla fine è uscito quasi entusiasta dall’incontro con il premier incaricato, Beppe Grillo ha postato un video ieri sera dove si capisce come l’elaborazione del lutto nel M5s sia tutt’altro che avvenuta, ma personalmente aveva quasi gli occhi che luccicavano dalla soddisfazione per avere scoperto un Super Mario del tutto diverso da quello che gli avevano raccontato. Figuriamoci Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, che erano draghiani prima ancora di incontrarlo faccia a faccia. Quasi tutti così, con la sola eccezione di Giorgia Meloni che si è rafforzata nella sua convinzione di non votare la fiducia al nuovo governo quando verrà chiesta in Parlamento.

 

Il motivo di tanto entusiasmo è semplicissimo, ed è la ricetta dei politici di lungo corso: ha detto ad ognuno di loro quello che volevano sentirsi dire. Se si mettono insieme i racconti di ciascuno e si costruisce il puzzle pensando di avere fra le mani il programma del nuovo esecutivo, l’entusiasmo si raffredda un po’, perché il puzzle non riesce a prendere forma. Ad ognuno ha detto parole dolci, ma a tutti insieme di fatto non ha detto nulla. A Salvini ha promesso che non verrà messa alcuna patrimoniale e nessuna nuova tassa. E il leader della Lega ha portata a casa un non banale bagaglio da rivendere con facilità al suo elettorato del profondo nord che sulle tasse è assai sensibile. Però appunto questo è un non-programma: niente tasse. Poi se Draghi dovrà fare come chiede la Commissione europea la riforma del catasto, la promessa formalmente sarà rispettata. Ma qualcuno si vedrà arrivare la stangata patrimoniale sulla propria abitazione in centro città che era accatastato come appartamento popolare. Lo vedremo a quel tempo.

 

Grillo sostiene che il premier incaricato si è rivolto a lui chiamandolo «l’Elevato», e si capisce che la sola cosa lo ha fatto sciogliere in un brodo di giuggiole: «E io come lo devo chiamare? Il supremo?». Alla delegazione grillina ha accarezzato la pancia con un abilità che non avremmo pensato. «Lo so cosa pensate e scrivete di me, e tutte le critiche che mi fate per avere guidato le privatizzazioni in Italia secondo voi svendendo pezzi pregiati anche ad aziende straniere. Non voglio discuterle: a quei tempi bisognava fare così. Ma sono passati decenni sotto i ponti. Io sono un altro e non sono più quelle le politiche utili, il contesto oggi è quasi l’opposto». E il clima si è subito sciolto. Ha lasciato parlare Grillo di tutta la rivoluzione ecologica possibile sempre annuendo a ogni sua proposta anche avveniristica. Tanto la transizione ecologica e gli investimenti verdi sono condizione imposta addirittura con quote percentuali da cui non si può derogare dal regolamento di quel Recovery Fund che proprio ieri sera il Parlamento europeo ha approvato pure con il voto dei rappresentanti della Lega che nei passaggi precedenti si erano astenuti. Non costa niente dire di sì, e farlo pure con entusiasmo, a quello che comunque verrebbe imposto all’Italia. Draghi ha annuito, ma un pizzico più preoccupato quando sulle ali dell'entusiasmo Grillo si è spinto oltre: «Certo in questo come si fa a tenere nel governo quelli della Lega? Di ecologia e investimenti verdi non capiscono un accidente...».

Il premier incaricato ha allargato le braccia perfino sorridendo: «Eh, vedremo, vedremo come vanno le cose...». Più che un Draghi sembrava un Arnaldo Forlani, che nella dc era maestro nel circumnavigare problemi tornando al punto di partenza ma dando l’impressione di averli così superati. È mestiere pure questo. In discesa ovviamente gli incontri con Renzi e soprattutto con Berlusconi, che Draghi ha accolto da vecchio amico dandogli del tu e un affettuoso: «Grazie per essere venuto». E in fondo è stato piacione anche con la Meloni, regalandole quello che voleva sentirsi dire: «Farò una flat tax? No, non è in programma», tanto lei era preventivamente per dire di no e ora le ha offerto un argomento con cui rafforzarlo.

 

Grande comunicatore, dunque, il Draghi che strappa a Grillo e perfino a Vito Crimi ieri sera il «lui è più grillino di noi». Ma in questo tripudio non è stata esplicitata in tutti questi giorni nessuna vera riga di programma (si resta aggrappati al mandato esplicitato con chiarezza da Sergio Mattarella), e quindi cosa sarà il governo Draghi resta un mistero. Da giorni perché siamo obbligati in questi casi noi come tutti i giornali pubblichiamo un toto ministri. Non c'è un solo nome sicuro, però perché vengono tutti dalle forze politiche. Ma dalla bocca di Draghi non è uscita manco la più pallida confidenza nemmeno all’amico del cuore. Sono tutti convinti (i partiti) che metà del governo sarà tecnico e metà no. I ministri in tutto 22 e i sottosegretari 44. I grillini avranno 3 ministri e stanno giocandosi le poltrone, poi 2 la Lega, altri 2 il Pd, uno a testa a Leu, Renzi, Forza Italia e uno che dovranno giocarsi ai dadi fra gli gnomi della maggioranza. Ma sono tutte elucubrazioni loro. Il Draghi uno è ancora una grande incognita da ogni parte lo si pigli. L’unica certezza è che l’assembramento non si scioglie. E anche il voto su Rousseau è saltato, perché gli attivisti grillini si stavano preparando a un plebiscito di no, con tutte le loro chat che ribollono di indignazione. Oggi dunque il premier incaricato incontra le parti sociali e giovedì scriverà la sua lista dei ministri che poi porterà al Quirinale per il vaglio definitivo che accompagnerà lo scioglimento della riserva. Ma al momento è tutto un libro bianco che deve in ogni pagina essere scritto.

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