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Di Maio, Orlando e gli altri. Parte la caccia alle poltrone

Dario Martini
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«I ministri li scelgo io», avrebbe chiarito a più riprese Mario Draghi durante le consultazioni. Ma i partiti non si rassegnano e spingono in ogni modo per non finire commissariati da una squadra di tecnici. Perché vogliono essere ancora loro a dare le carte, limitando così l’azione dell’ex presidente della Bce. Il rischio è quello di scomparire dal dibattito pubblico e di perdere consensi nel Paese. Così il pressing si fa sempre più intenso alla vigilia del secondo round di consultazioni che inizia oggi e vedrà il clou nella giornata di domani. Il sostegno a Draghi della Lega ha spiazzato i rosso-gialli che già confidavano di farla da padrone. Ora, invece, dovranno fare i conti con il primo partito italiano nonché seconda forza parlamentare. Comprensibile l’agitazione al Nazareno e in casa pentastellata.

Le forze politiche sperano che venga a loro riservata la guida di almeno 10-12 ministeri. Gli altri 8-10 dovrebbero finire in mano ai tecnici. Senza contare tutti i posti da sottosegretario. Più larga sarà la maggioranza più sarà difficile accontentare tutti. Anche perché il premier incaricato pare essere molto determinato ad affidare a figure a lui vicine i dicasteri "pesanti", quelli cosiddetti "di spesa", che saranno determinanti soprattutto nella prima fase di avvio del Recovery Plan.

 

 

Seguendo una sorta di manuale Cencelli, il M5s (prima forza nell’arco parlamentare grazie alle exploit elettorale del 2018) confida di vedersi assegnare due ministeri. Anche Lega e Pd ne vorrebbero due a testa. Poi, uno ad Italia Viva e un altro, se non due, a Forza Italia. E uno pure a LeU, a patto che esca indenne dalla frattura con l’ala più estrema che non digerisce il Carroccio. Da non dimenticare i partitini, dal Centro Democratico di Bruno Tabacci a + Europa di Emma Bonino fino ad azione di Carlo Calenda. Tutti e tre ambiscono ad una poltrona. Soprattutto il nome della Bonino inizia a circolare con maggiore insistenza. Tornando ai partiti maggiori, quello che più ha da perdere è il Partito democratico, che nel Conte 2 era riuscito a "mangiarsi" i 5 Stelle. È da escludere, al momento, un coinvolgimento dei leader. Anche se c’è chi chiede di partire proprio da loro, come il capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, che spinge per un ministero a Matteo Salvini. L’ingresso nel governo che creerebbe più problemi è quello di Nicola Zingaretti, perché dovrebbe dimettersi da governatore obbligando i cittadini del Lazio a tornare al voto. Se i segretari resteranno fuori, i partiti vorranno piazzare i numeri due. A partire da Giancarlo Giorgetti della Lega, Andrea Orlando del Pd e Antonio Tajani di Forza Italia. Oltre, ovviamente, a Luigi Di Maio che non si rassegnerebbe a mettere fine alla sua esperienza di potere dopo essere stato al Lavoro-Sviluppo e agli Esteri.

Giorgetti potrebbe tornare sottosegretario alla presidenza del Consiglio, anche se pare aspiri allo Sviluppo economico, opzione quest’ultima alquanto difficile. Oltre a Gian Marco Centinaio, in casa Lega cresce soprattutto il nome della senatrice Giulia Bongiorno, ex ministro della Pubblica amministrazione e avvocato di Salvini nei processi siciliani per «la difesa dei confini». Nel Partito democratico, oltre ad Orlando, c’è Lorenzo Guerini che punta i piedi per non mollare la guida della Difesa. Pressioni a restare in sella arrivano anche da Dario Franceschini, ministro uscente di uno dei settori più colpiti dalle restrizioni per il Covid: la cultura e il turismo.

 

 

Poi Draghi dovrà fare in conti con le ambizioni grilline. Come detto, Di Maio non vorrebbe lasciare la Farnesina, dove invece il premier incaricato potrebbe preferirgli l’attuale segretario generale Elisabetta Belloni. Anche Stefano Patuanelli dovrà lasciare lo Sviluppo economico (gettonata l’ex dg di Confindustria Marcella Panucci), ma punta a venire dirottato in un altro dicastero. Più difficile l’ingresso nella compagine governativa del reggente del Movimento Vito Crimi.

Per quanto riguarda Forza Italia, Tajani cercherà di far valere la sua esperienza da ex presidente del Parlamento Ue. Per lui si potrebbero aprire le porte degli Affari europei. Gli azzurri spingono anche per l’attuale capogruppo alla Camera Mariastella Gelmini, più difficile un ingresso della vicepresidente di Montecitorio Mara Carfagna. Anche Iv punta ad un ministero. I renziani più quotati sono il deputato Ettore Rosato e la senatrice Teresa Bellanova che con Conte ha guidato l’Agricoltura. C’è poi il nodo LeU, con Roberto Speranza asserragliato alla Salute. Per questo posto Draghi potrebbe scegliere la rettrice della Sapienza di Roma Antonella Polimeni o il preside di Medicina della Cattolica di Roma Rocco Bellantone. I partiti vorrebbero spartirsi anche Infrastrutture-Trasporti, Istruzione e Pubblica amministrazione. Draghi cercherà di tenere duro. Per questi ministeri sta vagliando vari nomi: da Carlo Cottarelli a Vittorio Colao, da Patrizio Bianchi a Ilaria Capua, da Enrico Giovannini a Luisa Torchia. Di sicuro non rinuncerà all’Economia (in pole Daniele Franco, Fabio Panetta e Dario Scannapieco). Ma vorrà salvare dai partiti anche la Giustizia (favorita l’ex numero 1 della Consulta Marta Cartabia o l’ex ministra Paola Severino) e l’Interno (possibile la conferma di Luciana Lamorgese).

 

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