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Paragone: Draghi? Il governo dei migliori aiuterà le élite non il popolo
Riaprendo i giornali dell’era Monti ritroveremmo le stesse medesime parole che le penne lecchine del giornale unico italiano oggi dedicano a Super Mario. Anzi, a volerla dire tutta, peccano persino di avarizia. Draghi è l’eletto, è l’uomo giusto, è il premier di alto profilo. Draghi è la guida migliore del governo dei migliori. «Nel momento dell’emergenza l’Italia sceglie sempre i migliori», chiosa Mimmo Siniscalco, uno dei figliocci dell’ex capo della Bce. Ma cosa significa essere migliori? Chi attribuisce il titolo di migliore? Sulla base di cosa?
La risposta è facile: si è migliori quando si prosegue nella idea che le élite hanno delle democrazie, ovvero svuotarle. I migliori, guarda caso, non passano dal vaglio dei popoli, ossia delle elezioni, eppure arrivano al momento giusto, osannati, per cambiare il corso della Storia. Fu così per Ciampi ed è così per Draghi. Le élite hanno in uggia il popolo, lo considerano impreparato. In Europa l’Italia - non unica - entrò senza passare da un referendum o da un percorso democratico; e oggi che l’Europa è nella sua fase critica più acuta ecco pronto Super Mario, «l’uomo che salvò l’euro» come scrivono i commentatori bravi. Esatto, ha salvato la follia dell’euro. E ancora oggi salverà l’euro, non il popolo. Il popolo vivrà nell’ipnosi di essere salvato, trasformato da rospo in principe dopo il bacio del Principe.
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Draghi non ha fatto nulla per i cittadini. Draghi ha lavorato e lavora in senso contrario allo spirito costituzionale di una repubblica parlamentare. E qui arriviamo all’altro punto. Chi voterà il governo Draghi sta accettando l’idea che il parlamento sia peggiore dei tecnici, che i parlamentari possano essere tranquillamente aboliti tutti perché basta il solo cavallo di Caligola. Chi voterà Draghi deve sapere che darà sostanza al tempo dei costruttori, che muoverà i compassi della cronaca perché la Storia si pieghi a prescindere dalle assemblee elettive. Il voto? Un lusso che non ci possiamo permettere quando c’è una crisi, ieri finanziaria oggi sociale e sanitaria assieme. Il popolo sia sovrano ma lontano dai bivi.
Draghi resta il costruttore intoccabile del Britannia, il panfilo battente bandiera britannica dove il Sistema cominciò la maledetta stagione delle privatizzazioni; Draghi resta il costruttore dell’architettura finanziaria dei derivati; Draghi è il servitore interscambiabile di un potere finanziario che non può - proprio adesso - perdere la centralità del compasso costruttivo.
Draghi con il whatever it takes salva una moneta imperfetta, salva un impianto monetario artificiale come ammise lo stesso Giuliano Amato. Draghi sarà il garante della irreversibilità della moneta a prescindere dal volere dei popoli. Infine Draghi è il pilota automatico migliore, di alto profilo, per resettare il senso dei voti politici. Le maggioranze cambino purché non cambi la sola politica possibile, quella di Davos. Eppure questa legislatura nacque democraticamente come reazione forte a quel tipo di dittatura finanziaria, tanto che un Movimento ancora tutto da calibrare fu premiato con un risultato importantissimo, così come la Lega fu premiata come prima forza di un centrodestra ormai in fase di destrutturazione.
Ora tutti dicono che Draghi non ammazza la politica perché è la politica che si è suicidata. È vero, la politica si è suicidata nel momento in cui chi doveva interpretare il cambiamento ha avuto paura di affrontarlo, preferendo farsi corrompere e corrodersi. Ma la politica non muore mai, è una bugia: far morire la politica significa far morire la democrazia. La politica ha commesso errori? Sì, tanti e per quegli errori paga. La finanza, che di orrori ne ha commessi di più, non paga. Perché agisce a prescindere dal popolo.
Ora dunque si gioca a carte scoperte. Tutti. Vedremo chi smonterà il volere dei Costruttori e chi sarà loro alleato. Una cosa è certa, Draghi non regnerà senza una maggioranza larghissima: la ebbe Monti, non può non averla lui. Del resto solo una maggioranza larghissima lo porterà tra qualche mese laddove più serve, al Quirinale.