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Neanche la Corte dei conti riesce a fermare il ritorno dei dalemiani

Francesco Storace
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Poi dici i servizi. Ci credo che Matteo Renzi li avesse in testa. Che poi ti capitano certe sorprese quando meno te le aspetti. Ha combattuto una vita contro Massimo D’Alema e i dalemiani e poi chi si ritrova alla Difesa, in una posizione non esattamente subordinata? Proprio uno dei campioni del leader maximo, il tramator cortese Nicola Latorre.

A volte ritornano e anche Latorre tornò e magari Renzi ci avrà visto un segno di congiura che non termina. Latorre chiama D’Alema. D’Alema chiama Conte. O forse nemmeno questo sarà vero e neppure Renzi ne sapeva nulla.

E magari può accadere che nel bel mondo pubblico italiano, dove nulla è affidato al caso, torna sul palcoscenico della difesa nazionale, il compagno Latorre. Approdato, con qualche fatica «istituzionale» che vi racconteremo, al rango di direttore generale dell’agenzia industrie difesa. Come si dice, da giovani piromani, da vecchi pompieri: alla bella età Nicola non sfila più contro militari, industrie belliche e magari la Nato come ai tempi della Fgci, la federazione dei giovani comunisti.

Adesso si trova in mano la missione di gestire gli stabilimenti industriali assegnati, «in una logica di creazione di valore sociale ed economico per lo Stato e la collettività». Se si vuol capire che cosa significhi, la «spiegazione» è nel sito dell’agenzia: «Il recupero del pieno impiego di risorse, impianti e infrastrutture; la riduzione dei costi gestionali; il ripristino di condizioni di efficienza operativa, ma, soprattutto, attraverso la valorizzazione del personale e delle sue competenze e lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi».

Questo complicatissimo mandato durerà tre anni ed è stato conferito poco tempo fa a Latorre. Per la sua nomina si è dovuto scomodare il consiglio dei ministri il 5 ottobre e poi il Capo dello Stato. Sì, perché ci voleva la firma di un decreto presidenziale per rendere operativa la nomina. Gli uffici del Colle ovviamente non hanno eccepito alcunché. Del resto Sergio Mattarella e Nicola Latorre si conoscono pure per l’esperienza parlamentare, anche se nel curriculum vitae citato dal documento firmato dal presidente della Repubblica si fa riferimento esclusivamente ai «titoli professionali e alla esperienza maturata». 

Ed è qui che cominciano i problemi. 

Perché si sono messi in mezzo quegli impiccioni della Corte dei Conti, che si sono domandati quali fossero questi titoli. Ma la magistratura contabile, a volte, non guarda in faccia a nessuno e si è messa a curiosare. E alla fine è dovuta capitolare perché, insomma, così non si fa.

Il ministero della Difesa ha reagito un po’ piccato alle pretese della Corte e ha mancato in avanscoperta il capo dell’ufficio legislativo a squadernare le qualità di Latorre, citando in particolare il suo «mandato di coordinatore della rete commerciale e dei processi dell’attività produttiva della società cooperativa Ceif. Realtà industriale specializzata nel settore della progettazione e costruzione di impianti elettrici e meccanici di grande dimensione». Peccato che la grande esperienza maturata nella cooperativa sia durata dal 1994 al 1996. Anzi no, se la Corte fa attenzione e va su Wikipedia trova un altro anno di gravose responsabilità del prescelto nella stessa ditta (non quella politica).

Su tutto, nella carriera di Latorre, campeggia «la pluriennale esperienza maturata quale coordinatore responsabile del gruppo di valutazione del merito creditizio presso la Cassa di Risparmio di Puglia». Dal 1981 al 1988, come funzionario di banca. 

Poi, lo ha chiamato la Patria. sindaco e assessore del comune di Fasano, ha cominciato l’assalto alle istituzioni nazionali nel 2005, eletto al Senato nelle elezioni suppletive in Puglia. Poi, nel 2006 il bis, e ancora nel 2008 e nel 2013 senza fermarsi mai… La sua presenza in Parlamento è stata costante fino ad allora.

Ma Latorre mancava alle istituzioni e ci ha pensato il ministro Lorenzo Guerini, casualmente del suo partito, a incaricarlo come direttore generale nella nuova impresa.
Del resto, nella risposta del ministero alla Corte dei Conti finalmente uscivano fuori anche le altre, decisive competenze, citando il quinquennio 2013-2018 di presidenza della commissione difesa del Senato della Repubblica. E che cavolo, neppure si può recuperare un glorioso ex parlamentare, persino comunista!

La Corte dei Conti, in effetti aveva domandato «di voler esplicitare con maggior chiarezza e dettaglio l’esperienza manageriale posseduta dall’interessato», che «non sembra emergere dal curriculum vitae allegato agli atti». E la risposta è stata: era dei nostri. La Corte si è accontentata. Ora Latorre può dire di essere ancora vivo a Matteo Renzi, che nel 2018 lo depennò dalle liste del Pd per le elezioni politiche. Il ministro Guerini lo ha messo lì e nella trattativa di governo pare che Italia Viva non se ne sia accorta…. E il paradosso è che la maggioranza che lo ha portato in quella bella posizione evapora nello stesso momento. Buon lavoro, compagno Nicola.
 

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