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Confindustria soccorre il Pd, una volta erano nemici

Francesco Storace
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Ormai Goffredo Bettini non si ferma più. E a chi gli imputa la supplenza di Nicola Zingaretti – che finge di offendersi se i radical-chic lo sfottono – risponde come se fosse accovacciato sul trono di Sergio Mattarella: o Conte o voto.

Ma non è esattamente questa la storia di questo momento. O almeno non è la linea di un Pd che torna ad essere composto da bande che si uniscono solo se trovano un interesse convergente. Zingaretti sembra non avere salda in mano la guida delle operazioni. Difficile credere al segretario del Pd come regista delle sparate quotidiane di Bettini ai giornali di mezzo mondo e contemporaneamente degli attacchi che Goffredone riceve per quello che dice all’interno del partito. Sui giornali ormai il problema esplode.

Ma va anche detto che per Zingaretti, in realtà, la questione principale non è certo rappresentata dai giornalisti che lo sfottono. Quello è un diversivo. Da questo punto di vista è molto più tollerante di altri. Sa che ognuno recita la propria parte. Il suo problema continua a restare Matteo Renzi e le voci di dentro del Pd assomigliano a quegli indizi gravi precisi e concordanti che si trasformano in prova. Italia Viva tiene il Pd in ostaggio, nei gruppi parlamentari Renzi è tornato a essere il segretario di metà dem e non solo il capo del partito suo. Non trova ostacoli, se non di facciata, al suo cammino. Incredibile: gli rinfacciano il 2% dei sondaggi ma la musica resta la sua. In pratica, Zingaretti si trova a comandare la banda di renziani rimasti nel «suo» partito.

 

Perché al fondo nel Pd è assente la strategia. Non c’è la capacità di equipaggiare le truppe per sotterrare il nemico. Eppure l’armamento ci sarebbe: tantissimi miliardi a fondo perduto, 3/400 nomine all’orizzonte, lo spauracchio di Matteo Salvini al governo, e non sono riusciti neppure a reclutare una quindicina di senatori per i responsabili, ai quali gliene hanno pure dovuta prestare una di loro per varare il gruppo al Senato. Ma chi è in cabina di regia, chi comanda le operazioni belliche? Un disastro. A Renzi è bastato andare a vedere il bluff e l’operazione responsabili è crollata miseramente, giusto per farli vedere in tivvù.

Il rebus di Zingaretti adesso è cercare di non sbagliare più, stretto com’è nella morsa tra governisti e quelli che non vedono l’ora di chiudere con questa pessima stagione di Palazzo Chigi. Che cosa chiederà per davvero Renzi, si domanda Nicola ogni volta che gli riferiscono notizie - vere o finte - su come procedono le trattative separate, che ci sono sempre tra i generali nemici mentre la truppa si spara.

Pare che Italia Viva si acquieterebbe su Conte in cambio di roba pesante, a partire dal ministero dell’Economia. Sarebbe una botta pesantissima per il Nazareno, anche se nel Pd Roberto Gualtieri è considerato un neo capocorrente di se stesso. Ma farsi imporre l’uscita da Renzi sarebbe inaccettabile e quindi hanno chiesto alla Confindustria di Carlo Bonomi di scendere in campo a favore del titolare del Mef. Cambiano i tempi: se fossero rimasti ancora comunisti, un ministro che si fa sponsorizzare da Confindustria, addirittura all’Economia, sarebbe stato cacciato con ignominia dal partito.
«L’Europa non vuole far fuori né Conte né Gualtieri». Ci credo, è la risposta che si becca l’amico di partito del ministro dell’Economia, quando si trovano più in Italia governanti così disponibili nel dire sissignore?

 

Zingaretti dovrà chiedere la solita mano a Sergio Mattarella per risolvere il rebus delle nomine. Anche se i partiti fingono di parlare di programmi - che pure la loro minima importanza avranno per chi deciderà di rompere la trattativa - poi ai nomi bisognerà mettere mano senza tirarla troppo per le lunghe. Già escono i nomi degli intoccabili secondo il Quirinale, e Renzi nota soddisfatto che manca Alfonso Bonafede nella blindatura del Colle. E anche Lucia Azzolina, pare.
Resta da capire - dicono ancora nel Pd - con chi intende trattare Matteo. Ecco perché in parecchi, i più sottovoce temendolo ancora, non sopportano più le uscite di Bettini «che delegittima Nicola». Certo è che se la trattativa dovesse andare per le lunghe, quello che teme Zingaretti è dover entrare direttamente al governo. Lui vuole mandarci Andrea Orlando, che rischia però di litigare un minuto dopo con Dario Franceschini su chi comanda. Ma se i tempi si allungano, diventerà più forte la pressione per un esecutivo solido con i capi dentro. E dovrà salutare pure la Regione Lazio. 
Si è ficcato in un bel guaio, Zingaretti. E trova pure il tempo per litigare su Facebook con Concita De Gregorio per quello che scrive su Repubblica...

 

 

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