disarmato

Governo, Zingaretti vuole la fine di Renzi ma è rimasto senza le armi

Francesco Storace

Nicola Zingaretti non si può proprio lamentare del leader di Italia Viva. Perché Matteo Renzi lo ha resuscitato lui, ben due volte. La prima nell’estate del 2019, con la caduta del Conte 1. E adesso, mentre è impegnato a tifare incredibilmente per Giuseppe Conte e finge di difendere il ministro dell’economia Roberto Gualtieri dall’assalto renziano.

È in difficoltà il capo del Pd. Non sa che pesci prendere se arriva al punto di prendersela con una giornalista di sinistra, Concita De Gregorio, bollandola come espressione della sinistra radical chic. Matteo Salvini e Giorgia Meloni sarebbero stati più rispettosi, pur apprezzando il nuovo linguaggio del leader dei dem.

  

Significa aver perso la testa quando si arriva a polemizzare in una maniera sguaiata, addirittura con una giornalista che ha diretto persino l’Unità. Perché Zingaretti ha preteso di fare lezione di buone maniere al Colle per insofferenza verso quel Renzi che è salito al Quirinale per fare da mattatore in conferenza stampa. “La prossima volta mi porto la chitarra”, dice arrabbiato il segretario del Pd. Ma il Quirinale non è Sanremo, sbaglia un’altra volta direzione.

Nella prima giornata di consultazioni col presidente esploratore della Camera – quella vera, oggi tocca alla quisquiglie – il Pd ha recitato la parte del nervoso. Anche perché ha cominciato a capire che il governo Conte che vuole non sarà mai Fico. C’è l’assalto alla fortezza guidato da Matteo Renzi. Che li prende tutto per il collo e non solo per il collo. Non c’è un solo dirigente del Pd che risponda alla stessa maniera di un altro se gli fai la domanda “ma che state facendo?”. Sarà pluralismo o confusione?

Attestarsi sulla trincea Conte o morte non giova al partito, pensano i più, soprattutto da parte di chi un anno e mezzo fa faticò non poco a far digerire il consenso della sinistra a quello che era stato il premier della destra.

E poi, lo slancio riformatore confinato nell’ennesimo annuncio di una battaglia per la legge elettorale proporzionale che sancirebbe l’addio a quella vocazione maggioritaria che era il sogno del partito di Zingaretti, ma che fu di Prodi e Veltroni.

La solita promessa di un patto di legislatura con tante parole in libertà per scrivere magari che sarà tre volte Natale e festa tutti i giorni. Anche i preti potranno sposarsi. La pace nel mondo. Disarmo nucleare.

In realtà, una cosa in testa Zingaretti ce l’ha. Distruggere Matteo Renzi, che gli passa continuamente in mezzo alle gambe nonostante gli si attribuisca un due per cento di voti e talento. Per questo l’unica cosa a cui bisognerà fare attenzione in questa crisi che difficilmente sarà brevissima, è la traduzione politichese dell’espressione “perimetro ampio” per il Conte ter. Per rendere ininfluente Italia Viva. Dipendesse da Zingaretti acquisterebbe uno ad uno parlamentari per seppellire il nemico.

Poi, ha le correnti in casa che imbalsamano il Pd. Metà partito vuole governare (a partire da Franceschini e Guerini), l’altra metà vuole andare al voto. È lotta tra diccì e piccì.

Diciamo che si sono incartati. Prima hanno chiesto il rimpasto per diversi mesi con 150 interviste di Goffredo (di fatto indebolendo Conte), poi Renzi ha fatto un po’ l’apripista per il rimpasto voluto anche dal PD, ma si è fatto prendere la mano puntando all’obiettivo grosso di Conte e Gualtieri per conto dei suoi amici.

Adesso, dopo aver tentato di cancellare Renzi dalla scena politica, Zingaretti pretende il “patto” e chiede anche a Vito Crimi di ripeterlo ad alta voce a nome dei Cinque stelle. Ma Matteo pone tante di quelle condizioni che di patti di legislatura ce ne vorrebbero almeno un paio…

Del resto, se per uccidere l’ex premier che li sta facendo impazzire, Zingaretti non ha esitato a “prestare” una senatrice per formare il gruppo degli irresponsabili dell’enoteca Tabacci, è evidente che non può aspettarsi mazzi di fiori da quella parte. Anche perché ormai si è fatto scippare il coltello dal suo avversario.

Ora Renzi vuole anche le teste di Alfonso Bonafede e Lucia Azzolina e seppur dovesse tornare premier, Conte sarebbe sempre sotto schiaffo di Renzi. 

Zingaretti lo ha capito e si dimena. Ma chi si intende di cose di Palazzo nota che “l'attacco triplo alla De Gregorio, alla sinistra radical chic e a Renzi non sembra proprio rientrare nelle regole di sobrio comportamento da utilizzare per favorire il mandato dell'esploratore”. Solo nervi o incomprensibile calcolo politico?