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Spunta il ticket Gentiloni-Draghi. Siamo appesi alle acrobazie di Renzi, meglio le elezioni

Angelo De Mattia
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È feconda l’inventiva di Iv, pur di creare disorientamento e auspicate scomposizioni nelle forze in campo, per una presunta risoluzione della crisi politica. Ecco, quindi, il coniglio estratto dal cilindro. Ora sarebbe sfornata la proposta di costituire un governo con Paolo Gentiloni premier e Mario Draghi ministro dell’economia. Per il primo, in effetti, si tratterebbe di replicare, a distanza di quasi 50 anni il comportamento di Franco Maria Malfatti che lasciò la carica nella Commissione Ue – era allora presidente – per candidarsi al parlamento in Italia.

 

La scelta suscitò aspre critiche e commenti ironici che si estesero all’Italia, dimostrando il “peso” che si attribuiva allora all’Europa. “Mutatis mutandis”, dopo avere esaltato il ruolo del commissario Gentiloni e il modo in cui finora lo ha svolto, lo si vorrebbe fare rientrare in Italia, magari per sostituirlo a Bruxelles con qualche personaggio gradito a Iv, visto che questa minuscola formazione continua a menare la danza, mentre i due principali partiti della coalizione di governo, soprattutto il Pd, appaiono abbacinati, con divisioni al loro interno. E così la decisione Malfatti rischia di ripetersi, con tutto quel che ne scaturisce sul piano della credibilità e dell’affidabilità. Poi l’inventiva si sviluppa ancora e declassa Draghi da potenziale premier, uomo della Provvidenza, taumaturgo di ogni male, a Ministro dell’economia, come o forse meno di un Cottarelli e simili.

 

Ma c’è già la risposta pronta: Draghi sarebbe titolare del Tesoro sulle orme di Carlo Azeglio Ciampi, anch’egli nel 1996 ministro del Tesoro per poi essere eletto, nel 1999, Presidente della Repubblica. Insomma, si tratterebbe di una candidatura differita e, frattanto, di un apprendistato, dimenticando che Ciampi era stato nel 1993 Presidente del Consiglio, aveva lavorato per circa 45 anni in Banca d’Italia fino a raggiungerne il vertice (per 15 anni) e aveva avuto modo di compiere fondamentali ed intense esperienze, in Italia e all’estero, ai diversi livelli della carriera a via Nazionale, fino a quella, ovviamente, di Governatore.

I raffronti sono impropri. Un tempo il “paragonato” – perché pienamente convinto, ma a volte anche per falsa modestia -, per primo, invitava a non insistere su assimilazioni delle quali non si sentiva all’altezza. E, meno male, che non si sia evocato anche Luigi Einaudi.

 

Si leggano i riferimenti nei quali proprio Ciampi, nei suoi scritti, parla di quel grande Governatore che fu Paolo Baffi o quando Antonio Fazio scrive di Guido Carli. Il fatto è che si gira e rigira eludendo la necessità – con formule che sopravvengono e scompaiono, come la rediviva “maggioranza della non sfiducia” – di un governo politico, solido, stabile con un’ampia prospettiva di durata in grado, da subito, di ulteriormente rafforzare l’azione antipandemia e di prendere il toro per le corna delle misure economico-sociali, a cominciare dal Recovery Plan.

 

Questo non può essere la torta da spartire con una nuova versione della lottizzazione, ben al di là della fantasia, ma anche dello scrupolo divisorio del Manuale Cencelli, riguardando risorse finanziarie da assegnare, opere da realizzare, sussidi da erogare, il tutto in una quantità straordinaria. La stabilità del governo è cruciale per l’Italia, per l’Unione e a livello internazionale. Se non si riesce a conseguirla, allora, anziché alle acrobazie dialettiche e alla continua estrazione di conigli dal cilindro, è preferibile ricorrere al voto anticipato. 
 

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