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Via alle consultazioni, Mattarella vuole numeri certi
Non ci sarà alcun «pre incarico» o mandato esplorativo a Giuseppe Conte se il premier dimissionario non sarà in grado di portare al Quirinali numeri solidi per il suo ipotetico terzo governo. Perché, con sfide da far tremare i polsi come la gestione del Recovery Plan e della campagna vaccinale, l’Italia non può permettersi maggioranze raccogliticce ed eterogenee.
È questo il messaggio che trapela dal Colle alla vigilia delle terze consultazioni di questa strana legislatura. Il colloquio di Sergio Mattarella con Giuseppe Conte è stato piuttosto rapido, una mezzoretta appena. E, d’altronde, non c’era molto da dirsi che non fosse stato già espresso nei giorni precedenti e nell’ultimo incontro di una settimana fa. Così da oggi al Quirinale si alterneranno tutte le forze politiche del Parlamento. Si partirà nel pomeriggio come da tradizione con i presidenti di Camera e Senato, non prima di un consulto telefonico con il predecessore Giorgio Napolitano. Domani si comincia dai «partitini», mai così determinanti come stavolta. Nel calendario a ieri non era stato ancora previsto il nuovo gruppo degli «europeisti» che si è fermato ieri sera in Senato - stando a fonti parlamentari, sarebbero state finalmente raggiunte le dieci firme necessarie - ma potrebbe essere inserito in extremis. Poi dalle 16.45 gli appuntamenti da cerchiare in rosso: in rapida successione le delegazioni parlamentari di LeU, Italia viva e Pd. Venerdì pomeriggio, infine, si chiude con il centrodestra e con il M5s.
La situazione al momento vede i tre partiti della maggioranza e i novelli «europeisti» schierati per il reincarico a Conte. La somma, però, si attesterebbe su 154 senatori (i 156 di martedì scorso, meno i tre senatori a vita, più Castiello dei Cinque stelle guarito dal Covid). Si resta lontani, insomma, sia da quota 161 (maggioranza assoluta) che dai 166-167 che garantirebbero una navigazione tranquilla a Palazzo Madama.
E così tutto resta appeso a quanto dirà la delegazione di Italia viva. Ieri Renzi ha ribadito di non aver «pregiudizi sui nomi» e di non voler porre alcun veto. Ma per Conte la strada resta insidiosissima. Sia perché a Palazzo Chigi non si fidano del «rottamatore», sia perché una pace con chi ha provocato la crisi causerebbe una spaccatura nel Movimento. La «dibattistiana» Barbara Lezzi ha già detto che non voterebbe la fiducia a un nuovo governo con Italia viva.
Se cercava sponde nel centrodestra, però, Conte per ora non le otterrà. La scelta di Forza Italia, Lega, Fdi e Noi con l’Italia di presentarsi in un’unica delegazione chiude alla possibilità di «smarcamenti» centristi, almeno in questo primo giro di consultazioni. E il secondo potrebbe essere un rischio troppo grosso per l’«avvocato del popolo», sempre più in bilico ogni minuto che passa senza che sia individuata una soluzione. Perché nell’eventuale secondo giro non solo Renzi, ma anche chi oggi gli promette sostegno assoluto (Pd e Cinque stelle) potrebbero cominciare a guardare altrove. Magari a un «governo del Presidente» con alla guida la presidente emerita della Consulta Marta Cartabia.
Ma i problemi per Conte non finirebbero neanche se davvero riuscisse a ottenere l’incarico per il Ter. Perché, con un Renzi che con questi numeri tornerebbe determinante, sarebbe costretto ad accontentare Italia viva con ministeri pesanti, senza dimenticare le necessarie ricompense da elargire ai novelli responsabili.
Non finisce qui, perché anche la sostituzione dei ministri del Conte bis non sarà indolore. Ieri uno dei potenziali responsabili, Luigi Vitali di Forza Italia, ha detto di essere pronto ad appoggiare un governo che faccia «una riforma della giustizia garantista». Impossibile con Alfonso Bonafede a via Arenula. Lo stesso Bonafede blindato da Di Maio appena 24 ore prima. Il rebus, insomma, è tutt’altro che di facile soluzione.