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Così il governo ignorò gli allarmi sul Covid. Report inguaia pure Speranza

Francesco Storace
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Adesso Roberto Speranza, il ministro reticente della Salute, deve uscire dal silenzio sull’affaire pandemia. Perché ogni giorno che passa emergono anche le sue dirette responsabilità. Quasi centomila morti e le loro famiglie invocano giustizia e lui non può più starsene zitto. È il momento di raccontare la verità. Perché se questa solo lontanamente si avvicina a ciò che ieri sera ha mandato in onda Report, è roba da retata. Se i magistrati di Bergamo hanno visto la trasmissione di Sigfrido Ranucci su RaiTre, si prepara il tintinnio di manette.

A incastrare i nostri eroi al ministero della Salute, nella task force sul Covid, ci sono verbali che finora erano inediti. Emergono dettagli imbarazzanti, non si sono mossi come dovevano.

I tecnici descrivevano il Covid come una influenza «di quelle che non fanno notizia» e ignoravano l’allarme della protezione civile: il 90% dei cinesi in Italia arriva da Wenzhou, dicevano le relazioni. Da quelli parti c’era già la quarantena. «Macché, il virus da noi non c’è» assicuravano gli scienziati dello Spallanzani e dell’Istituto superiore di sanità.

E si torna sempre al tema del piano pandemico del 2006. Neanche a quello si è fatto ricorso, almeno per le mascherine da rastrellare sul mercato. È il verbale più compromettente a parlare, quello dove il direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito, Silvio Brusaferro dell’Istituto superiore e proprio il ministro Speranza decidono di non applicare il vecchio piano pandemico: era vecchio, ma quello nuovo non c’era.

 

È il 5 gennaio 2020 quando l’Oms lancia l’allerta al mondo. «Attenzione c’è una polmonite sconosciuta in Cina, mettete in pratica le misure di sanità pubblica e sulla sorveglianza dell’influenza». Mano ai piani pandemici, consiglia, ordina, supplica l’Organizzazione mondiale della sanità. Il governo italiano istituisce la task force, cominciano le riunioni, ma i verbali sono desolanti.

È il 29 gennaio. Al ministero della Salute c’è la riunione della task force. Giuseppe Ippolito, direttore dello Spallanzani, per la prima volta indica la necessità di seguire «le metodologie del piano pandemico» per le risposte all’epidemia. Un piano di cui l’Italia è dotata. Tutto si chiude in poche righe. Ad ascoltare intorno al tavolo ci sono anche Agostino Miozzo, Giovanni Rezza e Silvio Brusaferro dell’Istituto superiore di Sanità e soprattutto il ministro della Salute, Roberto Speranza. Dai verbali si legge che nessuno risponde. Nei giorni successivi non vengono prese decisioni sul piano pandemico del 2006. Che infatti non viene attuato. 

Ad illustrare in trasmissione le responsabilità è l’allora direttore del ministero, Claudio D’Amario. Se lette con serietà, le sue dichiarazioni rischiano di inguaiare parecchia gente. «Quel piano non è scattato dopo le prime avvisaglie». E doveva essere attuato subito dopo la dichiarazione della pandemia. Eppure l’allarme Oms era proprio del 5 gennaio. In quel momento sarebbe dovuta scattare la fase 3, livello 1: «allerta pandemica». Ma nella task force decisero di fare uno «studio» Covid anziché seguire le indicazioni dell’Oms. E le scelte della task force verbalizzate e condivise dal ministro Speranza. E il piano pandemico del 2006 – conferma anche D’Amario - è tutt’ora il piano pandemico nazionale. 

 

Domanda il cronista di Report: ma come, non era stato aggiornato nel 2017, come diceva Ranieri Guerra? Macché, aggiornarono il sito, non il piano… In pratica, Ranieri Guerra avrebbe detto il falso ai pm di Bergamo. Nessuno ha mai rimesso mano al piano pandemico del 2006. E neppure lo hanno attuato. Quanta gente si sarebbe potuta salvare? D’Amario scrive a settembre 2018 una nota per il nuovo piano. La riunione si convoca solo sette mesi dopo, ad aprile 2019. La prima riunione... A nessuno fregava nulla.

Eppure è la Procura di Bergamo a chiedere quale fosse il piano vigente all’epoca. E se fosse stato applicato. Ora i magistrati hanno le risposte, che devono solo verbalizzare per procedere come si deve in casi così drammatici. Magari accelerando anche il loro lavoro, perché il Paese ha diritto di sapere. Leggano anche il verbale del 15 febbraio della task force. In quella riunione c’è la nota di un altro dirigente, Francesco Maraglino. Anche lui parla del piano pandemico da aggiornare e indica la necessità di formare gruppi di lavoro per accelerare i tempi. All’incontro è ovviamente presente il ministro Speranza. E anche in questo caso non vengono prese decisioni.

 È impressionante la sottovalutazione di quanto accadeva. Dai verbali emerge che se ne sono fregati, con enorme superficialità. Due settimane e mezzo per la prima riunione della task force dopo l’allarme Oms. Poi la banalizzazione del virus, declassato a influenza. Le spallucce rispetto all’alert della protezione civile sulla situazione di Wenzhou, «la città da cui viene il 90% degli immigrati cinesi in Italia». 

Le relazioni per le riunioni erano svolte dal segretario generale Giuseppe Ruocco. Anche lui, come gli altri, è stato sentito a Bergamo, ma prima dei fatti nuovi svelati ieri sera, i verbali che raccontano un’altra storia. Se l’Oms ci disse di fare riferimento alla preparazione dei piani antifluenzali, perché non scattò il piano pandemico? Di chi fu la decisione? Ad esempio, ne fu conseguenza il mancato stoccaggio dei dispositivi di protezione individuale.

Della questione Ruocco se ne accorge nella riunione del 29 gennaio, ma due giorni dopo l’Italia proclamerà lo stato d’emergenza e di mascherine in giro non ce n’era nemmeno una traccia.

Solo silenzi per troppi anni. E soprattutto nel momento più grave. I direttori generali facevano solo note ai superiori... Il piano andava aggiornato nel 2009, nel 2013 arrivò addirittura l’obbligo dal Parlamento europeo, ma tutti dormivano. Nell’ora più grave c’era Speranza, e anche lui si è dimenticato i suoi doveri.

Poi, arriva il 5 febbraio uno studio, è del professor Stefano Merler della fondazione Kessler, che illustra uno scenario drammatico. “Rischio di settantamila morti”. Una profezia, dice il cronista di Report. Il tutto arriva sui tavoli del Cts, il comitato tecnico scientifico, il 12 febbraio. Il verbale recita che bisogna pensare a un piano d’emergenza e solo il 20 febbraio si convoca la riunione di un gruppo ristretto. Speranza sapeva tutto perché partecipava alle riunioni. Ma ora tace e non dice nulla alla pubblica opinione. Dovrà rispondere ai magistrati.

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