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Conte è rimasto solo lasci Palazzo Chigi

Luigi Bisignani
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Caro direttore, nonostante gli sforzi irrituali del Quirinale, la panna montata del governo Conte-bis si sta afflosciando di ora in ora.
Il «game over» ci sarà, forse, quando andrà in scena la relazione del Guardasigilli con le sue annunciate aberrazioni giustizialiste quali il giudice monocratico per il processo di appello. A meno che Giuseppi, dopo aver tradito Salvini, Di Maio e Renzi, non trovi il modo di scaricare anche l’amato Alfonso Bonafede, detto Fofò, suo primo talent scout.
A quel punto il Presidente della Repubblica non potrà più continuare a difendere Conte e la sua sparuta maggioranza ricorrendo ad una moral suasion direttamente sui leader politici, da Di Maio a Zingaretti. Certo è che i suoi predecessori non avrebbero proprio adottato la linea attendista e, pur con stili diversi, mai avrebbero permesso uno spettacolo così indecoroso. L’uscita di Italia Viva aveva come unica risposta le dimissioni del premier per poi affidargli, subito dopo un breve giro di consultazioni, la possibilità di un nuovo incarico.
Cossiga e Napolitano, un cattolico e un comunista, avrebbero agito con il timone saldamente in mano. Il Picconatore avrebbe risposto che, con il Covid nelle case, «ad atto di guerra si risponde con atto di guerra» e lui stesso avrebbe favorito la formazione di un gruppetto di responsabili chiamando a raccolta una nuova versione degli «straccioni di Valmy», con Clemente Mastella sempre protagonista.
Napolitano, dal canto suo, avrebbe fatto sapere di aver contattato Mario Draghi (o un’altra personalità con collaudate esperienze internazionali) costringendo i partiti ad accettarlo e, in caso contrario, avrebbe sciolto il Parlamento. Al contrario, Mattarella ha lasciato fare a Conte, consentendogli perfino di ridisegnare in «articulo mortis» la mappa dell’Intelligence e di «sistemare» i suoi famigli più stretti (ambasciatore Benassi e ammiraglio Massagli).

Ma perché, poi, il premier si sente così sicuro, quando dimettendosi avrebbe avuto l’occasione di giocare le sue carte con maggiore autorevolezza e soprattutto dignità? La risposta è psicologica e la si ricava da alcune conversazioni dello stesso Conte, in privato durissimo e per nulla affabile, con i suoi interlocutori politici più vicini. Sopraffatto da un delirio d’onnipotenza che ne tratteggia il carattere ben diverso dal suo affettato aplomb televisivo, andrebbe dicendo che la sua popolarità asfalterà chiunque gli si porrà davanti, così innervosendo la base parlamentare grillina e l’intellighenzia piddina che va da Del Rio a Zanda. Facendo dunque leva sui sondaggi favorevoli che il suo «Roccobello» gli fa preparare il premier pare stia minacciando la nascita del suo partito, le cui liste elettorali sarebbero state affidate nelle mani di Renata Polverini, che di pasticci in materia ha già dato ampia prova. Ed è proprio questa macchina di consensi che ha creato una vera e propria dipendenza emotiva tra il premier ed il suo «grande fratello», a cui consente praticamente tutto. Appeso a questa macchina di sondaggi, con i canali Rai, Lilli Gruber e Marco Travaglio in prima linea, Conte ha perso il contatto con la realtà, sostituendola con un egocentrismo esasperato.
Una sorta di Sindrome di Telemaco in cui Giuseppi, non un super partes ma un senza partes, sente di portare sulle sue spalle il peso del mondo. Una bolla incredibile se si pensa che l’intera classe dirigente ormai ha chiaro che questo governo non è per nulla coeso ma soprattutto, come ha giustamente messo in luce Italia Viva, è incapace di gestire questa crisi.
Alla fine dell’ultima riunione via Zoom con le forze sociali, Conte, tra l’indifferenza dei presenti, non faceva altro che ripetere ossessivamente «allora possiamo dire che siamo tutti d’accordo su tutto», e questa volta persino omettendo il suo amatissimo «salvo intese». Silenzio dei partecipanti: forse questa volta è arrivato davvero il momento di lasciare per sempre la Casa di Palazzo Chigi. 

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