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Crisi governo, Salvini e Meloni da Mattarella: centrodestra a nervi tesi

Carlantonio Solimene
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Uniti al Colle. Ma forse solo lì. Oggi pomeriggio i leader del centrodestra - Giorgia Meloni per Fratelli d'Italia, Matteo Salvini per la Lega e il vice presidente Antonio Tajani per Forza Italia - saranno ricevuti al Quirinale da Sergio Mattarella, che ha accolto la loro richiesta di un confronto dopo la fiducia strappata al Senato senza maggioranza assoluta dal governo Conte. Con ogni probabilità, Meloni, Salvini e Tajani rappresenteranno al Capo dello Stato la loro preoccupazione per un esecutivo che sembra troppo fragile per affrontare le sfide della pandemia. Mentre difficile che si spingano oltre. Perché non si può pretendere da Mattarella di imporre le dimissioni a un premier non sfiduciato dal Parlamento, né gli si può ricordare come la stessa possibilità di governare in minoranza non sia stata data al centrodestra a inizio legislatura. Non solo perché i numeri erano assai più impervi, ma anche perché - il Quirinale l'ha fatto filtrare proprio ieri fu lo stesso Salvini a escludere per primo la possibilità di andare a cercare uno per uno i voti in Parlamento.

All'indomani della bagarre del Senato, però, tra gli alleati il clima non è dei migliori. E se Silvio Berlusconi in cuor suo convinto che la marginalizzazione del centrodestra nella partita della crisi sia principalmente colpa di Meloni e Salvi ni, contrari a ogni ipotesi di governo istituzionale, gli alleati hanno le loro ragioni di risentimento nei confronti di Forza Italia. Se dal partito azzurro non si fossero smarcati tre parlamentari «pesanti» (Renata Polverini alla Camera, Maria Rosaria Rossi e Andrea Causin al Senato) le difficoltà di Conte sarebbero state molto maggiori. Invece, la breccia aperta dai tre ribelli rischia di trasformarsi in una valanga. E stato proprio Causin - che pare nei giorni scorsi abbia avuto un incontro riservato con Conte di un paio d'ore - a spiegare che «come me in Forza Italia la pensano un'altra quindicina di polo mentari, solo che non hanno avuto il coraggio di esporsi».

Un quadro molto preoccupante e che vede ora tra i maggiori indiziati il senatore pugliese Luigi Vitali, segnalato come molto attivo nella ricerca di colleghi «volenterosi» pronti ad aggregarsi per dare vita a un gruppo autonomo dell'Udc. Gli stessi tre senatori di Cesa - Binetti, De Poli e Saccone - vengono considerati in bilico e in attesa di sapere cosa Conte può concedere ad eventuali responsabili. C'è aria di smottamento, insomma, e poco consola che ieri una deputata ex grillina, Veronica Giannone, abbia aderito al gruppo di Forza Ita lia. Nel Misto era già schierata col centrodestra, quindi per il governo non si tratta di una perdita. Ma, per lo meno, compensa tra gli azzurri l'uscita della Polverini. Lo smacco maggiore, tutta via, resta il «tradimento» della Rossi. Berlusconi, in collegamento con gli alleati, ha ribadito di essere stato colto completamente di sorpresa dalla scelta della sua ex strettissima collaboratrice. Il passaggio in maggioranza, in effetti, non sarebbe una «vendetta» nei confronti del Cavaliere ma contro chi, nel partito, l'ha progressivamente emarginata. Non è passato inosservato il gesto di «ciao ciao» fatto con le mani dopo la votazione e rivolto alla presidente dei senatori azzurri Annamaria Bemini e a Licia Ronzulli, la parlamentare che ha preso il suo posto nella gestione dell'agenda di Berlusconi. Per la Rossi si tratta di ormai ex amiche. La sua nuova vita è quella ostentata ieri a margine del voto sullo scosta mento di bilancio, a far capa nello con parlamentari di Pd e 5 stelle.

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