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Crisi governo, il Pd fa la corte a Forza Italia: altre fughe?

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Evitato il precipizio, è tempo di mettere in sicurezza il futuro. La strada, per il Pd, resta "realisticamente complicata", ma l'unica percorribile. "Quello di ieri è stato un primo passo per evitare un salto nel buio - ribadisce Nicola Zingaretti - Ora dobbiamo sicuramente dare alla maggioranza di ieri una identità politica per diventare più forte degli avversari". L'obiettivo, quindi, concordato anche con Giuseppe Conte e gli alleati nel corso di una riunione via zoom nel primo pomeriggio, resta quello di "costruire una prospettiva politica" che consenta di allargare i consensi in Parlamento e dare al Governo la forza per raggiungere il traguardo di fine legislatura. I 156 sì incassati ieri in Senato, comprensivi dei sì dei senatori a vita Mario Monti, Liliana Segre e Carlo Rubbia, per i Dem rappresentano un punto di partenza. "Anche se avessimo 161 voti al Senato sarebbe un traguardo simbolico, ma la sostanza non cambierebbe - ammette Dario Franceschini - Un governo è forte se può contare su almeno 170 senatori. Ora quindi dobbiamo lavorare per rafforzarlo".

L'offerta di allargare la maggioranza "a tutti i moderati che stanno con grande disagio in una alleanza a guida Salvini e Meloni, per sostenere una linea europeista", insiste il capodelegazione "resta in campo" e, in questa fase, rappresenta "l'unica priorità". In questo quadro si inserisce la 'conditio sine qua non' messa sul tavolo dei Dem per andare avanti, ora che i 'veti' renziani non ci sono più, quella legge elettorale di impianto proporzionale che, nella strategia di Franceschini, potrà "liberare il Paese da alleanze forzate". Per Forza Italia, riflette, "è una occasione: in quel partito c'è una contraddizione che prima o poi esploderà - osserva - Credo, anzi so, che ci sono molti forzisti interessati". Il segretario tiene il punto: "Vinceremo anche sul pacchetto delle riforme parlamentari - azzarda - Noi non molliamo di un millimetro".

L'operazione 'allargamento', con vista su quota 170 a palazzo Madama, è affidata a Federico D'Incà e ai capigruppo. Saranno loro a sondare "l'ala centrista di FI, i renziani 'responsabili', gli ex M5S" cercando di riuscire a creare un nuovo gruppo sia alla Camera che al Senato, in modo da riequilibrare anche la composizione delle commissioni parlamentari. Certo, questa situazione di debolezza - è la riflessione - non potrà durare a lungo. "Abbiamo poco tempo, si misura in settimane - dice Goffrendo Bettini, tra i più attivi dirigenti Pd sul dossier - Dobbiamo capire nelle prossime settimane se ci sono le condizioni per un patto di legislatura".

Se i numeri ci saranno, si apriranno tutti gli altri capitoli, a cominciare dal rimpasto per "rafforzare la squadra". Se invece la maggioranza dovesse rimanere 'zoppa', "non abbiamo paura delle elezioni".

Definitivamente chiusa, ancora di più dopo quanto andato in scena ieri in Senato, la "parentesi" Matteo Renzi. Anzi. La prima 'mina' dell'ex alleato si avvicina. Il 27 gennaio, salvo prevedibili rinvii tattici, si voterà la relazione sulla Giustizia. "Se Iv va fino in fondo e resta compatta in Senato - avvertono i Dem - si mette male".

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